Yeon è una moglie che ha scoperto i tradimenti del marito e rimane affascinata dalle immagini che appaiono in tv di un carcerato, Jin, che ha tentato più volte il siucidio. Facendosi passare per ex amante di Jin riesce ad entare nel carcere e ad incontrarlo. Tra loro nascerà una intensa passione, controllata dal direttore del carcere che spia sul monitor tutti i loro incontri facendoli terminare quando la scena diventa troppo intima (ma non sempre). Nel carcere abbiamo un compagno di cella di Jin, pazzamente innamorato di lui, che lo consola e accarezza nei momenti di tristezza e delusione, mentre infierisce contro di lui quando vede crescere il suo sentimento e le sue speranze verso Yeon. Gelosia, infelicità e mancanza d’amore sono ancora i temi preferiti da Kim Ki-duk. Il film è stato accolto in modo contrastante a Cannes 2007, dove alcuni hanno elogiato la sua capacità di stupire, con una storia minimale, mentre altri hanno sottolineato il manierismo della regia. A noi è piaciuto moltissimo.
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Non uno dei più estremi film di Kim Ki Duk, per fortuna, ma altrettanto metafisico. In questa storia mi è sembrato che abbia voluto affrontare il rapporto vittima/carnefice in un’accezione sicuramente desueta. Il prigioniero condannato a morte per omicidio diventa la vittima della moglie borghese annoiata. Il tema dell’omosessualità maschile latente è appena accennato. Ridicolissime le scene/balletto in parlatoio con le tappezzerie fiorate…!
Molto bello, poetico, pochi dialoghi, luce spesso opaca, grigia, come a sottolineare gli stadi d’animo dei personaggi. La storia è molto bella.. Uno dei migliori film del regista secondo me..
Un Kim-ki Duk ancor più minimalista del solito, a tratti ingenuo, ma capace come sempre di piccole geniali invenzioni. Pennellate di colore che dipingono la pellicola come fosse la tela di un quadro: i colori delle gigantografie con cui Yeon tappezza la stanza del parlatorio del carcere a ogni incontro con il (bel) Jin.