Tarik non riesce a versare nemmeno una lacrima per la perdita dei suoi figli, o per la sua vita in rovina, dopo che la moglie lo ha abbandonato. Invece si avvolge i baffi sotto un velo e ondeggia le anche a suon di musica, su di un carretto trascinato da un cavallo malconcio, in mezzo ad un piccolo corteo di pubblico, che si muove inelle vuote strade marocchine. Tarik è un H’Dya, un ballerino tradizionale che si esibisce in abiti femminili. Il padre di Tarik, guida la sfilata e quando il suo amato cavallo Larbi, morente, rifiuta di andare avanti, gli pettina la criniera amorevolmente. L’amico di Tarik, Murad, è minacciato e insultato a causa della sua omosessualità. C’è davvero qualcosa che contamina l’acqua, come sostengono tutti? O è tutto nella mente di Tarik? Nel suo terzo lungometraggio, Hicham Lasri ci parla, con belle e surreali immagini in bianco e nero, di tradizioni, di intolleranza e violenza, di amicizia e legami di sangue. E di amore per gli animali , anche se forse inappropriato. Aiutato da una rauca musica rock marocchina, Lasri compone una specie di ‘stato di intossicazione’ alla David Lynch, per produrre una vera e propria moderna esperienza cinematografica maghrebina.
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