Secondo film del bravo regista cubano Carlos Lechuga, che a noi può vagamente ricordare “Una giornata particolare” sia per il fatto che la storia è ambientata in un Paese dove governa un regime omofobo (Cuba nel 1980 e la dittatura fascista in Italia), sia per il fatto che i due protagonisti del film sono un omosessuale inviso al potere ed una donna eterosessuale, due figure alle quali è stata rubata la possibilità di una vita autentica. Assurdo il fatto che ancora ai nostri giorni, nonostante alcuni passi avanti sulla questione omosessuale, questo film sia stato escluso dal 38mo Havana Film Festival cubano per “ragioni politiche”.
Andrés (un bravo Eduardo Martinez) è un omosessuale dichiarato e un intellettuale che scrive contro il regime, due cose inaccettabili nella Cuba dei primi anni ’80 (ma non solo), per le quali viene costretto al confine in una baracca fatiscente sulle colline con la proibizione di scrivere qualsiasi cosa contro il partito governativo. Quando nella vicina cittadina sta per essere organizzato un Forum Internazionale sulla Pace (sic!), un’attivista contadina del luogo, Santa (una bravissima Lola Amores), viene incaricata dal suo comandante Jesus (George Abreu) di controllarlo appostandosi davanti alla sua baracca per i tre giorni del forum. Andres e Santa sono due persone agli antipodi, non solo per le inclinazioni sessuali, ma anche per mentalità e abitudini. Andres è un ribelle, con alle spalle una vita di lotta, sofferenze e privazioni. Santa è una obbediente servitrice del partito, illusa fino a quel momento di poter aver un futuro sentimentale col suo capo Jesus. Le cose iniziano a cambiare quando Jesus le fa capire che tra loro non può esserci nessun futuro. Da quel momento inizia a guardare con occhi diversi il suo prigioniero Andres. Intanto Andres continua a scrivere segretamente, nascondendo nella latrina i suoi manoscritti. Sempre segretamente ha degli incontri notturni con un giovane muto (Cesar Domínguez) che fugge via velocemente dopo aver fatto sesso. Quando a Santa capita una mattina di incontrarlo, Andres le spiega che si tratta di un suo nipote. Una mattina però Santa trova Andres sanguinante e pieno di botte, bisognoso di ospedalizzazione. Sarà invece lei stessa a curarlo e a salvargli la vita. Tra Santa e Andres inizia un nuovo legame, con Santa che abbandona le regole di comportamento che il partito le aveva insegnato e Andres che, grazie alle attenzioni di Santa, vede diminuire la sua angoscia e le sue paure (che gli abbiamo letto negli occhi in ogni momento). Entrambi si rendono conto di essere stati derubati della propria vita e delle proprie legittime aspettative, entrambi si ritrovano vittime di una cultura oppressiva dominante che li costringe a vivere come dei fantasmi di loro stessi. Magnifica e patetica nello stesso tempo la trasformazione di Santa mentre la vediamo sciogliersi i capelli e abbandonare il suo vestito rosso, ormai consapevole di essere stata considerata fino a quel momento solo l’ultimo degli strumenti politici. Ma il film, che non è assolutamente didattico o predicatorio, tutto concentrato sul dramma umano ed interiore dei protagonisti, ci racconta, con uno stile minimalista e quotidiano, molto reale, il rapporto tra pregiudizio e realtà e come sia ancora lontano il momento di una vera liberazione, sia sessuale che politica. Bravissimi gli attori ( entrambi premiati al Miami Film Festival) che, pur avendo alle spalle solo opere di teatro, hanno saputo esprimersi con un’ottima resa cinematografica fatta di intense e significanti espressioni, nei volti, negli sguardi e nei gesti.
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