Il lungo rapporto del grande ballerino Rudolf Nureyev con il Teatro alla Scala, viene ricostruito in questo documentario attraverso interviste a figure centrali del mondo della danza quali Carla Fracci, Roberto Bolle e Maurice Béjart.
La vita e la carriera di Rudolf Nureyev rivive nel film di Dino e Claudio Risi dal suo arrivo alla Scala, al trionfo internazionale, la malattia che gli rendeva sempre più faticosa l’attività artistica, fino ai suoi ultimi giorni a Parigi, attraverso immagini inedite degli archivi della Scala ed i ricordi di amici e partner di lavoro.
Come è ben spiegato nel documentario, Nureyev ha dato nuovo lustro e rivoluzionato lo spettacolo del balletto, mettendo al centro dello spettacolo, per la prima volta nella storia, grazie alle sue capacità straordinarie, il primo ballerino invece che la prima ballerina. Nureyev aprì le porte del successo ad una intera generazione di ballerine scaligere, che però sono concordi nel descriverlo con un pessimo carattere; egli pretendeva tantissimo da se stesso e si aspettava la stessa cosa dagli altri. E non ammetteva errori.
Senza voler fare alcuno scoop sulla sua vita privata, questo documentario è insolitamente franco in merito alla sua omosessualità ed alla sua malattia.
Da non perdere assolutamente l’intervento (involontariamente queer) di Roberto Bolle che, giovanissimo, vide riconosciute le sue doti dal grande maestro russo. E, in negativo, è indimenticabile l’intervento di Milva, che di Nureyev non trova di meglio che ricordare il suo portentoso sedere.
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