Il film si basa sulla storia vera della battaglia legale condotta in Cile per la custodia di tre figlie (nel film sono due) di genitori separati. La madre, lesbica, dopo la separazione convive con una donna e questa cosa scandalizza ancora molti, padre compreso. La battaglia si concluse con le raccomandazioni della Corte Interamericana dei diritti umani (IACHR) contro la stato del Cile.
Nel film la storia è raccontata attraverso gli occhi di Sara, 13enne, introversa e riflessiva (forse fin troppo per la sua età), che si vede contesa tra due famiglie differenti, quella della madre, giudice, che convive con la donna che ama, e quella del padre che si è risposato. Sara e la sorella di otto anni vivono al momento con la madre e la sua compagna, ma all’avvicinarsi del 13mo compleanno, Sara inizia a sentirsi a disagio. Molte, troppe cose le stanno succedendo: un corpo che cambia, la sua prima cotta, la sorellina che vuole adottare un gatto, ma soprattutto i conflitti tra i suoi genitori, con il padre che non sopporta di vedere crescere le sue figlie in una famiglia di lesbiche. Per questo inizierà una battaglia legale per riavere la custodia delle figlie. “Quindi … Tua mamma e Lia si baciano in pubblico?” · “A volte. Non più di tanto”. Ma il film non è la storia di un processo, è soprattutto la storia di una famiglia lesbica e della sua normalità, ma anche di sentimenti e situazioni che vorrebbere estromettere dal consesso mondiale una parte dell’umanità. Il film, dopo essere stato presentato in anteprima alla Berlinale 2016 (dove ha vinto il Grand Prix of the Generation Kplus), arriva in concorso al Giffoni Film Festival 2016, vantando anche il Premio Sebastiane Latino che riceverà al prossimo Festival di San Sebastiano. La regista, già premiata per corti, qui al suo primo lungometraggio, ha dichiarato: “Oggi noi abbiamo il riconoscimento dei diritti sulle unioni civili [in Cile è stata approvata la legge, ndr] ma non quelli dei figli nati da genitori omosessuali. Mi sono ispirata a un fatto di cronaca eclatante in Cile che mi ha dato spunto di grande riflessione, ho capito che la società civile è più rapida nella sua evoluzione della politica e ci possiamo trovare con situazioni dove c’è un genitore che resta senza diritti e così i figli sono privati di un genitore quindi di un diritto. Questo è quello che ho cercato di mostrare nel film. Il film è pensato per gli omofobici, perché dobbiamo abituarci alle famiglie in cui ci possono essere genitori dello stesso sesso e dobbiamo accettare, e rispettare, l’idea secondo cui un bambino possa crescere serenamente e bene, senza essere soggetto al giudizio altrui, in una famiglia in cui due omosessuali si amano, si rispettano e condividono la visione di come si possa impostare una vita insieme nel presente e nel futuro”.
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Non sapevo fosse tratto da una storia vera, a ciò non fa che rendere ancora più brutto il finale, lasciato in sospeso senza alcun motivo. La cosa che non è affatto riuscita al film è l’elemento drammatico, non si capisce infatti la gravità della situazione tra il padre biologico e le due madri. Ciò lascia disorientato lo spettatore che alla fine si chiede: ma perchè? cosa è successo? Non si evince affatto la battaglia legale in corso per l’affidamento delle figlie. Per il resto la storia narrata mi pare abbastanza piatta, un po’ noiosa.