Racconto di Natale

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Racconto di Natale

Nel film abbiamo il più anziano personaggio lesbico mai apparso sul grande schermo. Stiamo parlando dell’ultraottuagenaria Françoise Bertin, veterana attrice francese molto amata da Resnais e Chabrol che nel discontinuo melò famigliare bergmaniano Racconto di Natale di Arnaud Desplechin interpreta il piccolo ruolo della buffa Rose-Aimée, ex-fidanzata della defunta bisnonna del clan Vuillard. Siamo a Roubaix, comune del nord della Francia non lontano dalla città natale del regista, la frontaliera Lille. Occhioni sgranati in una minuta testolina a fiammifero, cravattino d’ordinanza butch su un’elegante camicia di seta lucida, la dolce Rose-Aimée viene invitata alla cena natalizia e accolta dal caloroso affetto di tutti gli strambi componenti di questa famiglia altoborghese di artisti un po’ pazzoidi. In realtà, del suo rapporto con l’avola trapassata non si sa nulla di più (viene solo inquadrata una foto sbiadita in bianco e nero che ritrae le due donne) ma sarà proprio Rose-Aimée, che porta in regalo una simbolica lampada vintage, a rivelare alla moglie dell’ultimogenito Ivan (Melvil Poupaud, il fotografo gay di Il tempo che resta) un segreto riguardante il cugino pittore Simon che la porterà a tradire il marito proprio la notte di Natale. Famiglia allargata discretamente disfunzionale, quella dei Vuillard: la matronale matriarca Junon (una Deneuve prevedibile, altera e disincantata) è affetta da una rara malattia genetica che, in passato, ha portato alla morte il bimbo primogenito Joseph per mancanza di donatori compatibili: ma nel caso di Junon sia il figlio ribelle Henri che il nipote psicotico Paul si rivelano adatti al trapianto di midollo che potrebbe salvarle la vita. Tutti si ritrovano così a casa Vuillard per le feste natalizie, ma il clima è di crescente tensione anche perché la figlia depressa Elizabeth ha ostracizzato l’instabile Henri traumatizzato per la morte della moglie e non gli parla da anni. (Roberto Schinardi, Gay.it)

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Un commento

  1. Profondo conflitto fra i componenti di una (apparente) famiglia borghese. I temi dell’esclusione, del lutto e della sofferenza riempiono i 150 minuti di questo film francese. Appaiono molti personaggi, ognuno dei quali fornisce una sfumatura diversa, niente lasciato al caso. Il regista non ci risparmia nemmeno i particolari di una malattia implacabile. Ospedali, lunghi e spessi aghi, sangue, midollo spinale.. Anche qui, come nel suo precendente film, è presente la malattia mentale. L’odio tiene unita questa famiglia, ma sul finale si affaccia un po’ di “sano” amore, sebbene sia un sentimento quasi rubato.. Da vedere assolutamente per i cinefili veri e amanti del cinema francese.

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