Varie
SINOSSI
Arizona, fine ‘800. Ben Wade e la sua banda di fuorilegge con le loro scorribande hanno seminato per anni il panico lungo la linea ferroviaria. Quando finalmente Wade viene catturato, si vede la necessità di trasferirlo al forte di Yuma, dove avrà luogo il processo. A scortare il pericoloso bandito sarà Dan Evans, un povero contadino veterano della Guerra Civile, offertosi volontario per la pericolosa missione. Durante il viaggio a bordo del treno, i due uomini impareranno a conoscersi e rispettarsi, ma l’incarico di Evans si rivelerà molto pericoloso, soprattutto a causa dei tentativi dei complici di Wade di liberare il loro capo.
CRITICA
“L’operazione remake è riuscita, grazie soprattutto alle due interpretazioni principali, il bandito Russell Crowe, bastardamente sornione, e Christian Bale, tirato e smagrito nel ruolo del poveraccio custode della legge controvoglia. La dialettica fra i due è tesa e mai banale, la biografia dei due più distesa e raccontata. Sanguigno, barocco, violento, ben più infuocato dell’originale, il film guarda più dalle parti di Sam Peckinpah e del tardo western che ai classici e talvolta eccede in chiacchiere, come capita sempre più spesso nel cinema indipendente di Hollywood. Con però la qualità rara di stemperare la violenza nella nota ironica, la fotografia magnifica, pastosa e malinconica di Phedon Papamichael (‘La ricerca della felicità’) e l’apparizione-citazione di Peter Fonda. In attesa dei tempi fatti e crepuscolari del ‘Jesse James’ con Brad Pitt, ‘Quel treno per Yuma’ versione Terzo Millennio è una buona occasione per riprendere confidenza con il genere più in disuso del cinema.” (Piera Detassis, ‘Panorama’, 19 ottobre 2007)
“Mettendo a confronto il nuovo nato con l’archetipo le differenze saltano agli occhi. Prima di tutto la durata: 92 minuti nel ’57, 117 oggi, quasi mezz’ora in più. Staccandosi dalla rigorosa concisione di un tempo, il western si è intellettualizzato e psicologizzato. Ne risulta cincischiato il carattere del bandito Russell Crowe, mentre il problema centrale del suo guardiano Christian Bale diventa il figlio quattordicenne che, considerandolo pavido, scalpita per la smania di sostituirsi a lui. Altre figura aggiunte sono il pistolero Peter Fonda e vari cacciatori di taglie dell’Agenzia Pinkerton. Innalzando il computo degli assassinati a livelli da italo-western, con un mattatoio finale che ha fatto cadere le braccia allo stesso Leonard, il film si conferma un tentativo del regista James Mangold di ibridare il vecchio con il nuovo fondendo stili incompatibili. Non c’è da stupirsi sei protagonisti per cavarsela mobilitano le risorse di un manierismo carismatico.”(Tullio Kezich, ‘Il Corriere della Sera’, 19 ottobre 2007)
“A mezzo secolo di distanza, cosa spinge un regista al confronto con uno dei miti del proprio paese – il West – sfidando il rischio di un genere ormai privo di grossa attrattiva, e per di più lungo la strada del rifacimento? L’originale di ‘Quel treno per Yuma’ (trasposizione diretta nel 1957 da Delmer Daves del racconto pubblicato quattro anni prima da Elmore Leonard) James Mangold l’ha visto durante l’adolescenza, rimanendone così colpito da omaggiarlo in ‘Copland’ – sua seconda regia – dove ha dato allo sceriffo il nome di uno dei due protagonisti del film di Daves. Però non gli è bastato, e ha voluto rivivere quella pellicola stavolta dietro la macchina da presa. Con una sceneggiatura rispettosa dell’originale – sebbene con modifiche apportate – e un cast di stelle quali Russell Crowe e Christian Bale. (…) La sua (moderna) frontiera non ha spazio per i deboli, è maschile e carica del fatalismo della vita dura, vendetta e soprattutto dollari – se li contendono cacciatori di taglie -, fuorilegge, proprietari terrieri con scagnozzi sadici, la potente mano delle ferrovie (che sfruttano operai cinesi e comprano tutto), disperati pronti ad accettare 200 dollari per ogni uomo ucciso. Il confine tra bene e male è incerto: l’allevatore si ritrova costretto al fianco di chi gli ha bruciato il fienile, opposto ad un bandito che invece gli ha restituito i cavalli sequestrati, lo ha risarcito delle vacche morte e ha pagato la giornata di lavoro impiegata da lui e dai figli per recuperare il bestiame fuggito. E perdipiù viene lasciato solo da pavide stelle di latta e calcolatori facoltosi, quand’anche un sussulto d’onore paterno vale un prezzo altissimo.” (Federico Raponi, ‘Liberazione’, 19 ottobre 2007)
“James Mangold ha diretto ‘Quel treno per Yuma’ dimostrando particolare pertinacia: già il suo verboso ‘Cop Land’ era il rifacimento – in tempi odierni – del classico del 1957, con Glenn Ford e Van Heflin. (…) Daves aveva dalla sua Glenn Ford e Van Heflin, che già aveva girato un film simile, ‘Il cavaliere della valle solitaria’ di George Stevens; Mangold ha Russell Crowe e Christian Bale, che sono attori bravi,ma incapaci di far dimenticare – come riusciva Glenn Ford col suo understatement – che stanno recitando. Certo, Mangold innova parecchio il soggetto rispetto a Daves, ma ancor meno di lui dà ritmo alla vicenda, che non è delle più verosimili. Infatti un ravvedimento come quello del film (e dell’archetipo) si giustificherebbe solo se il cattivo si fosse innamorato del buono. (…) Mangold ha capito meglio di Daves l’incongruenza e ha ritoccato il finale, senza davvero convincere. Rispetto al film originale, al nuovo mancano il bianco e nero e il motivo conduttore: la voce di Frankie Laine era invadente, ma anche suggestiva.” (Maurizio Cabona, ‘Il Giornale’, 19 ottobre 2007)
Il film è noioso e credo che non sarà d’accordo con me solo a chi piaciono questo tipo di film. Il dire che il bandito più cattivo di tutti è gay è considerato come un aggravante; ma questo in realtà è solo uno stereotipo di chi ha fatto il film e di un certo tipo di pubblico (il film è del 2007). Chi vive in un certo contesto è a prescindere cattivo; anche il protagonista lo è.
gay buoni o gay cattivi? perché mai un personaggio gay cresciuto in un contesto di violenza e prevaricazione, come quello che si vede nei film western, dovrebbe essere buono? rappresentare un personaggio gay violento è discriminazione? secondo me no. sarebbe stato peggio se avessero raffigurato il personaggio di Charlie Prince come una donnicciola in preda all’ansia per l’uomo che ama, no?
bello anche se un attimo drammatico ma di gay proprio ci vuole molta immaginazione