Della stessa regista di “11 donne a Parigi”, che anche qui è protagonista, una commedia degli equivoci tutta giocata sul cambio di ruoli. Jeanne (Audrey Dana) è un architetta 38enne sposata e con due figli “meravigliosi”. Il suo matrimonio è in crisi ma lei pensa di risolvere le cose con un po’ di terapia di coppia e qualche esercizio perineale. Peccato che il marito le riveli che aspetta un figlio da un’altra, facendo cadere Jeanne in depressione. La sua già scarsa fiducia in se stessa crolla definitivamente quando il giudice decide di accordare l’affido alternato dei figli all’ex marito fedifrago. È allora che la sua vita ha una svolta davvero inaspettata: la donna scopre da un giorno all’altro di avere un pene. E poiché è cresciuta nella convinzione che “se non hai un pisello non sei nessuno” la novità, per quanto sconvolgente, presenta le sue attrattive…
“Dana, sotto la sua gonna d’attrice protagonista trova qualcosa di troppo . Un pene. Scioccante, celestiale e ingombrante. E, partendo ancora una volta da un brano musicale (di Diane Tell), gioca al se fossi un uomo, continuando nella sua piccola e limitata sfida: cercare un differente equilibrio tra maschile e femminile nel subdolo e raffinato paesaggio della commedia borghese francese, adulta, benestante, figli-munita. Ne esce un film d’equivoci triviali ma non troppo, in cui il personaggio transgender coniuga sfregio femminista e stereotipi fallici dementi, con un senso del comico che sa di tenera clownerie e retorica dell’antiretorica dei sessi. Poi l’impeto satirico s’acquieta, lei comincia a comprendere le ragioni delle parti basse (le sue e degli omini che le stanno intorno) e s’innamora: la norma etero ritorna, ché qui siamo a un innocuo riformismo cinematografico, al godibile niente di che, alla posa engagé con risatina e Christian Clavier. Non tutti sono Blake Edwards. C’è chi s’accontenta.” (Giulio Sangiorgio, FilmTv)
“Non sono tanto gli spunti pseudo-sociologici o di commedia di costume a convincere in Qualcosa di troppo, ché anzi appaiono nettamente secondari, quanto il semplice divertimento ed equivoco di natura puramente plautina. Caso unico e potenzialmente da studiare – il ginecologo della protagonista (interpretato da uno strepitoso Christian Clavier) non riesce a trovare una spiegazione scientifica all’innaturale epifania – quello della protagonista di Qualcosa di troppo diventa l’occasione per dispiegare un numero inesauribile di gag che coinvolgono a pari titolo chi sa e chi non può e non deve sapere: l’amica e vicina di casa di lei, con cui potrebbe forse nascere qualcosa di imprevisto; i piccoli figli della donna, ovviamente tenuti all’oscuro dell’inspiegabile “malformazione”; ma anche l’uomo che scopre di amare e a cui non può sentirsi di rivelare il suo segreto. Si ritrova in Qualcosa di troppo l’eredità della trovata comica di Billy Wilder, quell’insieme di eleganza e di osceno, di proibito e di non-detto/non-visto, su cui è costruito A qualcuno piace caldo. Audrey Dana rincorre Jack Lemmon e Tony Curtis nel suo travestitismo che non è più di facciata, quanto clamorosamente e soprannaturalmente concreto. Così, Qualcosa di troppo riesce nell’impresa di affrontare con eleganza un tema potenzialmente scabroso, senza però per questo indorare la pillola o cercare di evitare le note più stonate. Anzi, il suo conclusivo obiettivo pare essere quello di una libera, sguaiata e libertaria mescolanza di generi, in cui uomo e donna, padre e madre, appaiono potenzialmente interscambiabili, a seconda delle circostanze e del momento. E cosa si chiede di fare a una commedia se non di ribaltare schemi consolidati, di far ridere attraverso di essi? Qualcosa di troppo ci riesce, come ormai capita sempre più raramente” (Alessandro Annibali, Quinlan.it)
Effettua il login o registrati
Per poter completare l'azione devi essere un utente registrato.
Condividi