Jim (Harris Dickinson, il protagonista di Beach Rats e della serie televisiva Trust, qui al meglio della forma), splendido ragazzo dell’Essex va a Londra, nel quartiere di Soho, nella speranza di dare una scossa alla sua vita provinciale e di realizzare i suoi sogni. Dopo un inizio sventurato, con uno che gli ruba i soldi, si imbatte in un locale in un gruppo quanto mai bizzarro di marchette (David, Marcello, Jesús e Victor), che si autodefiniscono ‘raconteur’ perché danno ai clienti, tutte persone intellettuali e di ottima levatura, la possibilità di parlare di arte e di cultura dopo aver fatto sesso. Jim, dal fisico statuario, è la persona perfetta e quindi in breve diventa la star, anzi la musa, di Soho: tanti artisti lo cercano come modello oppure per mettere in atto delle scene erotiche/artistiche, in cui lui è il San Sebastiano di Guido Reni o altro. Le cose però si complicano quando Jim si rende conto di essere affetto dalla sindrome di Stendhal (qui in versione un po’ modificata rispetto alla realtà): quando vede un dipinto che lo cattura per la sua bellezza, sviene, sognando di immedesimarsi in esso, trovandosi magari al cospetto di Caravaggio nella Napoli inizio Seicento e ingaggiando un duello con lui (e quel che è bello è che, al risveglio, la ferita ricevuta c’è sul serio…). Per queste sue qualità, viene anche assoldato da un mercante d’arte che lo sfrutta per capire se alcune opere sono vere o sono dei falsi (di fronte ai quali il ragazzo non sviene). Ricco di tante esperienze, alla fine Jim è pronto per tuffarsi con animo diverso nella rapace Londra.
Ambientato in una Soho vibrante di neon, immaginaria e voluttuosa, è un film originalissimo, zeppo di spunti cinefili (da Jarman a Fassbinder, dal Coppola di Un sogno lungo un giorno a Sei gradi di separazione) e artistici, tra citazioni pittoriche e tableaux vivants. Il baricentro di ogni cosa è il corpo nudo di Dickinson, che ruba la scena, non facendo rimpiangere la mancanza di sesso tout court.
Rivisitando l’altissima potenzialità omoerotica dell’arte barocca da Caravaggio in poi – nonché tanti capisaldi della cultura omosessuale, come Kavafis o Wilde – il film gioca su più livelli narrativi, che si intrecciano in maniera volutamente non razionale, dando luogo a sensazioni forti e intriganti. Il risultato è un prodotto sofisticato e denso, che manda in sollucchero il pubblico raffinato, mentre può lasciare perplessi altri. Di certo, ha tutte le carte per diventare un gay cult movie. (Vincenzo Patanè)
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