Varie
“The License” is a choral comedy, that turns comic, embarrassing, engaging and emotionally affecting. The story of a 30-ish Italian guy, Rolando, left alone in leading a bunch of well-assorted students to the driving-license test, capturing the nuances of people’s behavior in showing a mis-fit group of individuals, coping (or not) with each others’ idiosyncrasies, reflecting so many aspects of contemporary Italian society. The test is an excuse to look more deeply into the lives and choices of these people; who’s diverse ages, cultures, experiences and backgrounds reflect many aspects of contemporary Italian society. As the comic tale of the ‘hot’ week leading up to the test unfolds, a peculiar destiny transforms it into a nightmare for some and a great opportunity for others. Written by Rita Luchetti Bartoli, IMDB
CRITICA:
“…L’inadeguatezza e la capacità d’improvvisazione sono i sentimenti che guidano anche le azioni di un manipolo di futuri automobilisti evidentemente allo sbaraglio. Dal giovane Alessandro alle prese con i turbamenti sentimentali per la taciturna Serena, alla misteriosa Liyu Jin, fino alla scanzonata trans Giulia, tutti raccontano con le loro storie personali il presente di un paese disorientato e disorganizzato ma che non ha perso il gusto dell’umorismo. Perché, nonostante, il sapore dolce amaro che caratterizza tutto il film, la narrazione di Palazzi non rinuncia al piacere di deridere con intelligenza la società che abitiamo e contribuiamo a formare. Così, con i toni della farsa e tratteggiando personaggi dalle caratteristiche solo in apparenza eccessive, il regista realizza il ritratto del nuovo uomo medio, regalando finalmente alla nostra commedia un senso del reale troppo a lungo soffocato da infinite vacanze di Natale ed Ex perennemente in agguato. Certo, dal punto di vista tecnico, come da quello della scrittura, il film presenta delle incertezze nate dalle limitazioni economiche e dall’inesperienza alla base di un’opera prima. Tutti elementi, però, che Palazzi non solo non nasconde ma che amalgama perfettamente con lo scopo ultimo del suo film; ossia narrare le avventure quotidiane di un’umanità imperfetta, naturalmente multietnica, sessualmente ed emotivamente confusa, ma ancora alla ricerca di una direzione da prendere, qualunque essa sia.” (Tiziana Morganti, Movieplayer.it)
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Arriva al cinema dopo una lunga serie di corti e videoclip il primo lungometraggio di Alessandro Palazzi, intitolato ‘La Patente’. Un progetto senza dubbio ambizioso, che cerca di scostarsi dalla classica commedia all’italiana abbracciandone tuttavia le regole base. Non c’è volgarità né pressappochismo nella scelta dei personaggi e nel modo di farli relazionare, eppure i momenti pieni di ilarità non mancano, così come quelli di riflessione; l’eterogeneità dei personaggi messi in scena all’interno dell’autoscuola permette allo spettatore di vivere con loro la settimana che precede il fatidico esame per la patente tra insicurezze, primi amori, la scoperta di nuovi orizzonti e, perché no, anche il coraggio di difendere la nostra vera natura e le nostre scelte. Una storia piacevole e nel complesso molto godibile, che si fa apprezzare per originalità e semplicità: qualche piccolo difetto nel montaggio, soprattutto nei primi minuti, e una sceneggiatura forse poco scorrevole nella parte centrale non intaccano comunque un giudizio complessivamente positivo: la capacità di far convivere personaggi con obiettivi, culture e sessualità diverse riuscendo ad omogeneizzare il tutto senza mai strafare o infastidire lo spettatore è forse la difficoltà più evidente del film, ed è stata superata seppur con qualche difficoltà. Nota di merito finale alla colonna sonora, che in alcuni punti appare totalmente antitetica rispetto alla narrazione e contribuisce a creare uno spazio ironico e pungente anche nei momenti meno leggeri. (Serena Catalano, Supergacinema.it)
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Per il suo esordio nella regia di un lungometraggio, il regista romano Alessandro Palazzi sceglie di chiudersi negli spazi angusti (e produttivamente molto economici) di una scuola guida, e nella cornice – alle nostre latitudini, purtroppo, sempre più rassicurante – di una commedia. La trama è presto raccontata, quasi non esiste, anzi, non esiste. Rolando (Andrea De Bruyn) si ritrova a gestire assieme all’amico Sergio (Ernesto Di Stefano) l’autoscuola del padre della sua (ex) ragazza. Sono guai, questo è quanto.
Quanto ai temi: le difficoltà dell’amore e la confusione sessuale, l’integrazione razziale e il precariato. Questioni messe sul piatto in maniera dozzinale grazie alla presenza di istruttori e aspiranti guidatori, scelti non a caso per parlare dell’Italia oggi. È una comicità di situazione quella di La patente, piccolissimo film che a tratti mette in imbarazzo. Ci prova la musica a riempire il vuoto costante (di idee, drammi e soluzioni), ci provano i tormentoni ricorrenti. E non bastano la regia umorale e il montaggio scattoso. Un’idea di cinema, certo, a cui comunque servirebbe l’architrave di una storia. Esempio di film indipendente alla stato puro, autoprodotto e autodistribuito, come ormai se ne vedono tanti. Il sostegno è d’obbligo, ma insomma… (Cristina Borsatti, FilmTV)
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Rolando [Andrea De Bruyn], impiegato nell’auto scuola del suo futuro suocero, si trova di punto in bianco a dover rivestire il ruolo di direttore dell’azienda, proprio ad una settimana dal giorno degli esami di guida. L’acquisizione del potere è per Rolando un modo per togliersi qualche rivincita contro chi non lo aveva fino ad allora preso in considerazione, o semplicemente aveva la colpa di essergli da sempre risultato antipatico. L’incoscienza e l’inettitudine che da sempre caratterizzano Rolando, lo portano a imbastire una vendetta dal sapor di bancarotta: in un sol colpo fa piazza pulita di tutti gli storici collaboratori dell’auto scuola, ritrovandosi a dover rimpiazzare i vari colleghi con una serie di personaggi sui generis, formando una squadra improbabile e inadeguata, in pieno stile armata Brancaleone: Sergio [Ernesto de Stefano], banconista raccattato al bar all’angolo promosso al ruolo di docente di teoria, e due strani figuri, sedicenti istruttori di guida assoldati on-line. Anche la fauna umana disposta al di là della cattedra non è da meno: la cinese Liyu Jin, maldisposta allo scambio verbale, ma molto ben portata al commercio sottobanco di prodotti di scarsa qualità, soprattutto all’interno della classe; il domestico filippino Armando, rimandato già più volte, ma ossessionato dalla sua datrice di lavoro, che pretende di essere accompagnata in giro in auto; due diciottenni alle prime esperienze d’innamoramento [dura e un po’ scorbutica lei, inesperto e imbranato lui]; e la trans Giulia [Isabel Gondim], con cui Rolando, dai profondi dubbi in fatto di gusti sessuali, instaura una relazione sessuale che mette in crisi il suo rapporto con l’ex ragazza. Un esercito di “casi umani”, capitanati dallo stereotipo dell’italiano medio [imbroglioncello e sbruffone], sono i protagonisti de La patente [2012], esordio filmico del regista Alessandro Palazzi. Un’opera prima che ha il rumore acido di amara risata contro il comune senso della morale. Il regista-sceneggiatore lavora sui luoghi comuni che formano la struttura delle più malandate odierne grandi città: dagli extra-comunitari che, nottetempo, si sostituiscono al self service alle stazioni di servizio per guadagnar due spicci, ma poi acquistano case con assegni da sei zeri; i badanti filippini che non imparano, in anni di servizio, una sola parola di italiano; i travestiti brasiliani che diventano il centro degli interessi sessuali dei maschi in crisi; i cinesi ossessionati dal lavoro e dai soldi. Una ricerca del politically-uncorrect virato in commedia a cui, però, manca il guizzo di peculiarità che lo innalzi dal greve umorismo; guizzo di creatività assente anche a livello registico. La patente è un’opera, infatti, del tutto puntata su una costruzione drammaturgica-testuale, che vuole solleticare il senso del comico pruriginoso, puntellandosi mani e piedi anche sulla sessualità e la transessualità. Abbastanza buone, invece, le prove attoriali: in primis l’Andrea De Bruyn visto nell’indie Mad in Italy di Paolo Fazzini, piacevolmente antipatico. (Luca Ruocco, Ingenerecinema.com)
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