Film targato HBO che vanta tra i produttori esecutivi il nome di Brad Pitt, candidature ai Golden Globe e agli Emmy, e un premio, meritatissimo, al protagonista ai Critics Choice Awards. In Italia il film è arrivato (doppiato) solo grazie alla rete Sky. La storia è parzialmente ispirata ad un fatto di cronaca reale. Il film presenta un solo protagonista, senza farci sentire nessuna altra voce, nemmeno quando arrivano o partono delle telefonate. Ottima la regia, e anche la sceneggiatura, che riescono a creare un clima di attesa e tensione senza mai andare oltre le righe. Anche il tragico assassinio della madre è solo raccontato. E pure il finale, che dovrebbe essere super-drammatico, ci viene mostrato con estrema lievità. Ottima la fotografia, tutta interna al piccolo appartamento, che ci presenta ogni scena con sempre qualcosa di nuovo ed interessante, senza mai farci annoiare. Il tutto esaltato da una superlativa interpretazione, piena di mille sottigliezze e ambiguità, che catturano e incuriosiscono sempre più lo spettatore. David Oyelowo non poteva fare meglio nel trasmetterci un personaggio così estremo e così quotidiano nello stesso tempo. Peter Snowden, il protagonista, è un omosessuale arrivato ai tardi anni 30, dopo una vita vissuta praticamente segregato nella casa con la madre. Ogni giorno al lavoro e ogni sera o festività a casa. La madre è una parrocchiana piena di timor di Dio che non può sopportare l’idea di un figlio gay e ancora meno che il figlio possa ricevere a casa la visita di un amico. Peter vive nel ricordo dell’amico Edward, incontrato mentre faceva il militare, 18 anni fa. Hanno avuto una storia, breve perché Peter è stato dimesso presto dal servizio (forse per problemi di salute mentale). Un giorno si sono rivisti ma Edward si era sposato e adesso non pensava ad altro. Così si sono lasciati in malo modo. Ma Peter ha continuato ad amarlo, era sicuramente l’unica consolazione della sua vita. Adesso decide di ricontattarlo per invitarlo a casa sua per una cena e per dirgli quanto sia ancora importante per lui. Quando dice alla madre dell’invito all’amico, ottiene un divieto assoluto: “certe cose non possono accadere in casa mia”. Peter perde il controllo, prende la mazza da baseball e l’uccide (noi non vediamo la scena). Il film inizia subito dopo questa tragedia. Ma per Peter non si tratta di tragedia: è una liberazione, una catarsi. Lo vediamo muoversi in casa, canticchiare, quasi scheccando, tutto intento ad organizzarsi per invitare e ricevere l’amico. Nella sua testa ormai c’è solo Edward. Più avanti ci spiegherà di “essere avvolto da un amore così forte che non conosce limiti”. Siamo quindi davanti ad una specie di pazzia per amore, una pazzia alimentata da una ininterrotta solitudine, una sottile e continua persecuzione omofobica, una storia d’amore non conclusa o respinta. Nella sua mente è ormai rimasto solo il sogno di un amore, il desiderio di una vita diversa, normale (proporrà ad Edward di andare a vivere insieme, in una casetta tutta loro, e quando anche questo sarà impossibile, di fuggire insieme ovunque che “troveremo sempre il modo di ritagliarci una nostra intimità”). Peter è sicuramente malato mentalmente, ma la sua è una malattia che ricade tutta sulla società, sulle avversità causate dalla sua condizione di omosessuale in una società bigotta. Peter è ormai consapevole del suo destino, probabilmente già dalla prima inquadratura del film. Il suo tentativo di recuperare Edward, che per lui significa recuperare la vita, la felicità, la normalità, è solo l’ultimo sogno che può permettersi.