My One and Only

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My One and Only

Con sfumature pescate dalla vera vicenda che portò l’attore George Hamilton a Hollywood, è la storia, negli anni Cinquanta, di Anne Deveraux alla ricerca di un uomo ricco e generoso che si occupi di lei e dei suoi figli. Dopo aver scoperto il tradimento del marito, Ann chiama a raccolta i suoi figli George e Robbie e incomincia un viaggio su una nuova e scintillante Cadillac decappottabile verso la California. Di città in città, Ann cerca stabilità, denaro e un nuovo marito, non necessariamente in quest’ordine. George è un ragazzo serio ed amante dei libri che rimpiange la scuola abbandonata mentre Robbie è un gay effeminato che sogna di diventare una star di Hollywood (magnificamente interpretato da Mark Rendall che spesso ruba l’inquadratura con frizzanti battute e atteggiamenti “camp”). Un sorprendente “road movie”, interpretato, fotografato e diretto ottimamente.

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2 commenti

  1. istintosegreto

    Una madre stralunata in viaggio coi suoi due figli nella grande America degli anni 50. Delusa dall’amore, Anne vuole ricominciare da capo e trovare la sicurezza (anche economica), ma… Interessante messa a confronto di tre caratteri diversissimi, che in definitiva si compensano e si fondono per creare un equilibrio perfetto. Tra l’altro il ragazzo gay viene accettato così com’è senza la minima difficoltà.
    Mi sono imbattuto in questo film girando i canali e ne sono molto contento, perché lascia dentro un messaggio positivo sul vero significato della parola “famiglia”. Un’interpretazione più matura ed articolata del solito da parte della Zellweger.

  2. E’ un film splendidamente recitato e molto accattivante come trama.Forse tra i più bei road-movies del cinema USA. Brillante, leggero,stravagante e pure commovente per i rapporti genitori-figli.Interessante l’estrema tolleranza di tutti verso il figlio Robbie che dall’inizio alla fine lavora all’uncinetto e si prova gli orecchini della madre : fatto forse un pò troppo utopico negli anni Cinquanta ! Voto 9.

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Varie

La bellissima Ann Devereaux (Zellweger) ha appena lasciato il suo civettuolo e infedele marito Dan (Kevin Bacon), un direttore di società, e, presi i suoi due figli, George (Logan Lerman) e Robbie (Mark Rendall), inizia un viaggio on-the-road che li porterà lungo tutta la East Cost, alla ricerca di un uomo facoltoso che si prenda cura della strampalata famiglia. Siamo nel 1953 e sono passati anni da quando Ann veniva corteggiata. Ora sembra che solo perdenti e playboys da strapazzo siano i candidati che si presentano sulla piazza. Dopo diverse miglia di percorso il viaggio colleziona aspetti che vanno dall’orripilante allo stravagante, dallo straziante al comico. Ma nel frattempo i tre viaggiatori imparano a conoscersi l’un l’altro molto meglio di quanto fosse successo prima. Finalmente George scopre la determinazione, la dignità e l’amore che sua madre nasconde dietro un’apparente egocentrismo. E Ann si ritrova con una fantastica famiglia che prima non poteva nemmeno immaginare. Il film s’ispira alla vita reale dell’attore George Hamilton e ai suoi rapporti con la madre. Il cuore del film è quindi il rapporto che si viene a creare tra la madre e i suoi due figli. Colpisce che il personaggio di Robbie si presenti chiaramente come gay (oltre lo stereotipo, sicuro di sè) in quegli anni (i ’50) e come sia la madre che il fratello sappiano accettare amorevolmente la cosa.

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“George Hamilton non solo ha prodotto il film, montato (?) con classe dal figlio di Gillo Pontecorvo, Marco, e ha voluto Mark Isham come responsabile delle musiche, per non esagerare con un sound arrangiato come piace a Woody Allen, ma anche scelto un suo sosia fotocopia, il giovane attore Logan Lerman dai capelli altrettanto brillantinati, e una specie di George Peppard gayssimo come fratello al suo fianco (Mark Rendd), perché il duo faceva proprio faville nei melo adolescenziali psicoanaliticamente corretti, nel ruolo dei bravi ragazzi turbati, dalle emozioni paralizzate per colpa di genitori troppo presi dai loro problemi per non accorgersi di produrre se non gioventù bruciata alla James Dean, certamente dei sensibilissimi anormali.” (Roberto Silvestri, ‘Il Manifesto’, 13 febbraio 2009)

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