“Un film parecchio interessante, certo scombinato e sconvolto la sua parte, per niente mainstream. Proprio vero che il buon cinema può venire da dove meno te l’aspetti. HPG, un signore non molto alto e assai largo per via della massa muscolare, una faccia che ricorda vagamante Ivano Marescotti, testa rasata, non solo ha girato il film e scritto la sceneggiatura, ma si è ritagliato pure il ruolo del protagonista, cui conferisce il proprio vero nome: Hervé. Il film si struttura su due storie, due percorsi che sembrano indipendenti, ma che convergeranno in modo fatale. Hervé è un solitario, un asociale, coltiva ossessivamente il suo corpo, percorre lo spazio a piccoli passi quasi danzati, è ossessionato dalla propria immagine, ma anche dal proprio rango di maschio. Lavora come guardiano di uno zoo di scimmie, ma lo licenziano perché accusato di deprimere le suddette bestie. Trova lavoro in un garage che assomiglia allo spaventevole, oscuro antro di un orco. Difatti l’orco c’è, è il massiccio, terribile proprietario, che chiarisce subito di essere il padrone anche della vita di chi lì lavora. Hervé scoprirà che il boss è anche l’amante e il pappone di una saraghinesca (vedi alla voce 8 e mezzo di Fellini) prostituta che lavora in roulotte proprio sullo spiazzo antistante il garage. Una specie di Divine dalle labbra smisurate e dai seni ancora più enormi, complice e insieme vittima del losco padrone di Hervé. Mentre seguiamo i destini di Hervé, piccolo everyman a rischio follia (siamo dalle parti del Travis di Taxi Driver), si sviluppa un altro asse narrativo. Riguarda Marion, giovane, bruna giovane donna che ha un desiderio dominante ormai tendente all’ossessione: rimanere incinta. Il suo ragazzo non vuole, non lascia sperma dentro di lei quando fanno l’amore, lei cerca diseratamente di trattenerlo come può quello sperma, ma è una lotta inutile e già persa. In un club una lesbica la salva da uno stupro, le due si metteranno insieme, la salvatrice di Marion, che lavora in un ospedale, segretamente trafugherà del seme congelato e con quello feconderà la compagna (ovviamente la scena ci viene mostrata con abbondanza di dettagli). Marion resta incinta, ma perderà il bambino, e sarà Hervé l’involontaria causa. Naturalmente non finisce qui e la storia, anzi le due storie, continueranno. Il film mantiene del cinema porno la durezza, la crudezza, la brutalità senza infingimenti, anche se le scene di sesso sono tuttosommato scarse. Del porno c’è anche la riduzione delle persone al loro corpo, al loro dato biologico. A governare personaggi e vite di questo film c’è una sorta di fatalità biologica, qualcosa di animale. Sta qui il vero lato disturbante di I movimenti del bacino, non nel suo erotismo. Tutto è oscuro, lurido, sordido, come contaminato. Aleggia un senso di ineluttabilità. Eppure, in questo film nerissimo, alla fine qualcosa si crea, si ricrea. HPG sa girare, ha uno stile, sa raccontare e ha qualcosa da raccontare. Il tutto adottando modi al limite dello sperimentale: anche lui disarticola la narrazione, enfatizza dettagli e singoli momenti spparentemente fuori contesto. ” (L. Locatelli, wordpress.com)
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