Giovanni Coda – il regista sardo autore di Il rosa nudo, Bullied to Death e Xavier – continua a offrire un cinema di grande qualità e impegno civile, fuori dagli schemi, grazie a uno stile personalissimo ormai consolidato eppure, volta per volta, differente.
Con Mark’s Diary – che prende spunto dal libro LoveAbility di Maximiliano Ulivieri – anche stavolta Coda tocca un nervo (almeno per i più sensibili, mentre la società italiana sembra sorda sull’argomento): quello del diritto alla sessualità da parte di chi è disabile.
Mark e Andrew sono due disabili, dipendenti da altre persone per espletare quasi tutte le proprie funzioni. Tra queste, però, manca l’amore (naturalmente si parla di altra cosa rispetto a quello, comunque apprezzabilissimo, di chi li accudisce con premure) e il sesso, nonostante in loro siano un’urgenza viva e insopprimibile, esattamente come in tutti gli esseri umani.
Attraverso una voce fuori campo che usa parole gravi, sofferte e umane, allo spettatore viene ricordato lo strazio di un desiderio, spesso fortissimo, che deve essere forzatamente represso (a cominciare dalla masturbazione, che comporterebbe poi un forte imbarazzo al pensiero che chi sta loro vicino se ne accorgerebbe). Viene così negata l’intimità, persino quella basilare, ossia il toccare o l’essere toccati. Per la società infatti un disabile è una persona asessuata, il cui unico scopo è quello di portare avanti la propria vita, fatta solo di funzioni basilari, da cui è però escluso il sesso. Certo, ora ci sono i social che possono aiutare, come Romeo o Grindr, ma servono a poco se al momento opportuno l’altro se ne fugge a gambe levate non appena si accorge che si tratta di una persona in carrozzella. Non rimane dunque che affidarsi alla fantasia, ai sogni. Così Mark e Andrew (Maximiliano Ulivieri e Giacomo Curti) quando capiscono che il loro legame è fortissimo ma del tutto impossibile da mettere in pratica sul piano fisico, iniziano a sognare di essere un’altra coppia: due ragazzi bellissimi (Mark Cirillo e Caleb J. Spivak) che vivono con scioltezza la loro storia d’amore, tra carinerie, poesie, pranzetti, docce assieme e momenti travolgenti di sesso. Sono dunque una sublimazione, un trasferimento su un piano ideale ma, nello stesso tempo, anche un espediente per ricordare ai più quanto si è fortunati nell’essere in grado di vivere queste esperienze quotidiane, che non sempre vengono apprezzate quanto si dovrebbe.
Mostrando alternativamente le due coppie, Coda gioca dunque su due piani narrativi che si intersecano in continuazione, facendo riflettere sulle loro differenze. Ma poi, com’è consueto nel suo linguaggio, trasferisce il discorso su un altro piano ancora, in cui poesia, fotografia, danza, musica, aiutate da una bella colonna sonora, si intrecciano, arricchendosi a vicenda. Sono scene dalla studiata coreografia e fotograficamente molto valide, in cui una macchina da presa fissa riprende alcuni danzatori che si muovono fluidamente e sensualmente, mentre la voce narrante, scollegata da ciò che vediamo, cattura ed emoziona lo spettatore con osservazioni intense quanto vere.
Un film delicato ma anche forte nel suo messaggio, volutamente urticante, che infrange un tabù della società. Girato con l’apporto dell’università di Derby, Mark’s Diary è un grido di dolore, che speriamo non rimanga inascoltato e che tutti dovrebbero vedere: il bisogno di amore e di sesso di persone – quasi sempre molto lontane dai canoni estetici dominanti – intrappolate in un corpo che per loro è una prigione insopportabile, che non permette di appagare neanche un po’ i loro desideri, sessuali e non. Ma ė anche un mezzo per ricordare alla società l’urgenza di una legge – quella dell’assistenza sessuale, vigente in alcuni paesi da sempre attenti a queste esigenze – che era partita nel 2014 (portata avanti grazie a una battaglia di Maximiliano Ulivieri) ma poi si è arenata, scomparendo nel nulla (come tante volte accade in questo paese sempre più destrorso e razzista).
Vincenzo Patanè
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