Varie
CRITICA:
French Liliane (Ariane Labed, “Alps,” “Before Midnight”) and Bosnian Grebo (Ermin Bravo, in his third Zbanic film) come to the coast from Sarajevo for sun and fun. Grebo in particular lets loose, demonstrating his former-rocker chords to an appreciative audience of vacationers who are keen to party. Then Liliane locks eyes with Flora (Ada Condeescu, “Loverboy”), the entertainment hostess at the resort, and she’s thrown for a loop. Some years earlier the women had been lovers, and the flame remains, despite Liliane’s attempts to snuff it out. Grebo also has the hots for Flora, who isn’t above some serious flirtation in the hopes of breaking up the marriage and winning back her ex-g.f.
It would be nice to report that “Love Island” takes a sophisticated approach to lesbianism and bisexuality, but nothing on the screen remotely approaches sophistication. Colors are loud, maturity levels are infantile, and the gags are subpar. Bravo is made to look as unattractive as possible, his hairy, pale body stuffed into an embarrassing Speedo that results in a vulgar bulge shot more suited to the “Porky’s” franchise. Zbanic (“Grbavica, “For Those Who Can Tell No Tales”) has a knack for addressing how the past infects the present, yet here the concept is reduced to its lowest factor, and the pic is singularly devoid of any political or social statements.
That wouldn’t be a problem if the comedy were spry and clever, but that’s not the case. English line delivery is often unnatural — a pity, given the previously proven talents of the actors involved — and the costume designer obviously hated Condeescu. Franco Nero’s small role as a horny Italian aristocrat spouting poetic lines at the ladies is best passed over without comment.
As with all summer resort movies, music is a key element, so the Scorpion’s song “Wind of Change” is heard in multiple reiterations. Zbanic’s regular d.p. Christine A. Maier is once again collaborating, and the visuals fit the oversaturated, superficial atmosphere. (Jay Weissberg, Variety)
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Alzi la mano chi, entrando in sala senza alcuna cognizione di ciò che sarebbe apparso sullo schermo, riuscirebbe a riconoscere dietro Love Island la mano di una regista come Jasmila Zbanic. Sì, Jasmila Zbanic, colei che sbaragliò la concorrenza a Berlino nel 2006 conquistando l’Orso d’Oro con Il segreto di Esma (Grbavica), appassionato e doloroso dramma su un rapporto madre-figlia sconvolto dalla memoria della guerra civile; Jasmila Zbanic, colei che nel 2010 tratteggiò con minimalismo straziante il progressivo allontanamento tra un marito che ha riscoperto la propria fede musulmana e la moglie, ne Il sentiero (Na putu). Il cinema della Zbanic, al di là di tutto, si era finora segnalato per la capacità di affrontare il tema della disgregazione della ex-Jugoslavia proponendo angolature impensate, tracciando percorsi impervi ma affascinanti, carichi di un pathos mai staccato dal contesto sociale.
Da questo punto di vista Love Island rappresenta un triplo salto mortale, slittamento totale dal sentiero battuto finora: il cordone ombelicale con la patria della Zbanic resta ancora saldo – i protagonisti in vacanza vive in realtà a Sarajevo – ma si sfilaccia, visto che l’intero film è ambientato nel lussuoso villaggio vacanze di un’isola croata. È lì che sono andati a rilassarsi il promoter musicale Grebo e sua moglie Liliane, al nono mese di gravidanza: un luogo ultra-kitsch, in cui le serate sono dominate dal karaoke. Sull’isola Liliane ritrova un vecchio amore di gioventù, Flora, che lavora per il villaggio come escursionista subacquea e intrattenitrice…
Dalla trama appena accennata è già facile prevedere gli sviluppi dell’intreccio, tra incomprensioni di base (Grebo ignora l’amore omosessuale della sua compagna), gelosie, ripicche, e vampate di passione improvvisa. La Zbanic gestisce tutto questo bailamme premendo il pedale dell’acceleratore, lasciando che ogni singola situazioni deflagri fino alle estreme conseguenze, scegliendo la strada del “tutto è permesso, tutto è possibile”. Love Island assume dunque le sembianze di una creatura sfrenata, decisa ad abbattere qualsivoglia tabù ancora persistente sull’omosessualità, l’amore e i rapporti di coppia.
Il risultato, pur divertendo a tratti, è senza dubbio confuso, anche perché la materia è trattata senza particolare cura: se determinate situazioni riescono a funzionare è spesso più per la buona lena degli interpreti (soprattutto Ermin Bravo e un Franco Nero dotato di una buona dose di autoironia) che per una scrittura scontata, ricalcata senza troppa fantasia su schemi e prassi fin troppo abusate.
A restare nella memoria sono dunque soprattutto i numeri musicali, da “Wind of Change” degli Scorpions intonata con enfasi da Grebo fino al brano che dà il titolo al film, utilizzato a mo’ di vero e proprio tormentone. È indubbio che si possa rintracciare, nei recessi di Love Island, anche un discorso sulla necessità dell’integrazione, da ricondurre indubbiamente alle riflessioni sulla situazione balcanica e bosniaca nello specifico, ma questo dettaglio non riesce a nobilitare una commedia sgangherata ma senza troppa verve, divertita più che divertente. (Raffaele Meale, Quinlan.it)
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