Lo Chiamavamo Vicky

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Lo Chiamavamo Vicky

Pier Vittorio Tondelli (Correggio, 14 settembre 1955 – Reggio Emilia, 16 dicembre 1991) è stato uno degli scrittori e giornalisti più influenti degli anni ottanta. Il titolo del documentario rimanda al periodo giovanile, vissuto in Emilia, a Correggio, dove amici e familiari chiamavano lo scrittore Pier Vittorio Tondelli affettuosamente Vicky. Si raccontano così gli anni della formazione, dai suoi articoli giovanili in varie riviste correggesi dell’epoca, dal 1976 al 1978, fino al romanzo d’esordio e di grande successo “Altri libertini” del 1980. Citazioni dai suoi libri “Camere separate” e dal suo libro d’esordio ci raccontano il suo paese d’origine, Correggio come definisce lo stesso scrittore “Il paese è un piccolo borgo della bassa padana”. Il racconto biografico dei suoi anni di formazione è proposto dall’insieme di voci narranti raccolte, dei suoi familiari, amici e testimoni diretti che hanno condiviso esperienze culturali e artistiche, fra letteratura e teatro, a Correggio dal 1975 al 1981: suo fratello Giulio Tondelli con la moglie Giuliana Bellelli, e altri testimoni come Celestino Pantaleoni, il fotografo che realizza decine di scatti fotografici inseriti nel documentario o Giorgio Bonaccini, poeta, e il libraio Nino Nasi della “Libreria del teatro” di Reggio Emilia e infine l’editor Feltrinelli di “Altri libertini” Aldo Tagliaferri. Una coralità di voci e letture che rendono omaggio allo scrittore a vent’anni dalla sua scomparsa raccolte a Correggio, con il prezioso aiuto della famiglia e del Centro di Documentazione “Pier Vittorio Tondelli”.

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Pier Vittorio Tondelli was one of the most influential Italian writers and journalists of the eighties. “Lo chiamavamo Vicky” (We called him Vicky) is a tribute to his life and carrier, from the years of studies and training to his success as novelist. An homage to his work for the twentieth anniversary of his death. (Enza Negroni, Imdb)

Vedi rassegna stampa sul sito del Centro di Documentazione Pier Vittorio Tondelli

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Lo chiamavamo Vicky è il titolo del film documentario di Enza Negroni, ritratto inedito sugli anni
di formazione dello scrittore Pier Vittorio Tondelli a venti anni dalla sua scomparsa. Sarà
presentato in anteprima alla VII edizione del Biografilm Festival, unico film italiano in concorso,
venerdì 17 giugno.
Prodotto da Pulsemedia il film è stato realizzato con il contributo della Emilia – Romagna Film
Commission e con il prezioso aiuto della famiglia e di Viller Masoni, responsabile del Centro di
Documentazione Pier Vittorio Tondelli di Correggio.
È un Tondelli correggese quello ritratto da Enza Negroni che fin dal titolo rimanda al periodo
giovanile dello scrittore, vissuto in Emilia, a Correggio, dove amici e familiari lo chiamavano affettuosamente Vicky. Raccontato con discrezione tra le mura e un piccolo borgo, come lo
definisce lo scrittore, dai suoi primi articoli giovanili fino al romanzo d’esordio e di grande
successo Altri libertini del 1980, il documentario è una puntuale introduzione alla biografia dello
scrittore, attraverso le testimonianze dirette dei suoi familiari e dei suoi amici degli anni Settanta
di Correggio, il poeta Giorgio Bonaccini, il fotografo Celestino Pantaleoni, il libraio Nino Nasi
della Libreria del Teatro di Reggio Emilia e il redattore Feltrinelli di Altri libertini, Aldo
Tagliaferri. Il documentario include scritti inediti di Tondelli, interviste su riviste d’epoca,
materiale video in bianco e nero dove si vede la Correggio degli anni Settanta, e numerose
immagini scattate da Celestino Pantaleoni che realizzò su richiesta dello stesso scrittore emiliano
uno dei primi servizi fotografici. (L’Arena)

Finalmente qualcuno se n’è ricordato. Pier Vittorio Tondelli è stato il più grande scrittore italiano degli anni Ottanta ed era giusto mescolare le sua straordinaria e libera scrittura con la forma cinematografica del documentario. Ci è riuscita la regista bolognese Enza Negroni con Lo chiamavano Vicky (produzione Pulsemedia), venerdì 17 giugno alle 21, in anteprima nazionale al Lumiere di Bologna per il Biografilm Festival. Un biopic rallentato, sincero e ravvicinato rispetto alla sagoma oscurata dell’intellettuale reggiano, scomparso nel 1991, a trentasei anni, per Aids. Che il primo romanzo Altri libertini (1980) sconvolse la pubblica piazza per il suo naturale realismo descrittivo di una omosessualità ancora passata sotto silenzio è così drasticamente limitativo da gridare vendetta. Tondelli era un imponente, vivo, pulsante romanziere non ancora in mano agli editing piallatori o alle corvée dei direttori di marketing che hanno reso la scrittura dei grandi editori una pappa indistinta. Se seguirete Lo chiamavano Vicky potrete accorgervi di quanto il suo linguaggio, le sue parole sbocciassero da una sincerità morale non di certo prona al dio del mercato. Tondelli proseguiva dritto per la sua strada letteraria: maturo nella scrittura, come dicono i testimoni nel documentario, già a vent’anni “srolotava” la sua poetica tra un corso di laurea al Dams bolognese che pareva non finire mai, alcune esperienze teatrali a Correggio (luogo che gli aveva dato i natali) e un rapporto continuo tra quel mondo antico, emiliano, novecentesco che si stava trasformando in qualcosa di opulento e ingrato come gli anni ’80. Lo chiamavano Vicky, infatti, è prima di tutto una ricognizione geografica e spaziale dei luoghi reggiani in cui Tondelli è vissuto, un confronto bianco e nero/colore tra urbe e campagna, tra l’intimità di stanze e osterie: “notte raminga e fuggitiva lanciata veloce lungo le strade d’Emilia a spolmonare quel che ho dentro”. Successivamente scorrono lateralmente e verticalmente gli scatti e i frammenti fotografici che ritraggono Tondelli ancora ventenne con barba lunga e i rari sorrisi che intervallano le sue pose riflessive Negroni scava nella biografia nascosta dello scrittore, registra con pudore le testimonianze di parenti e amici, fa leggere ampi stralci di Altri libertini e Camere separate. Ne esce un racconto misurato e preciso su un Tondelli intellettualmente e politicamente resistente, alla ricerca “del cosa fare da grande”, intento “a scrivere un interminabile romanzo/inventario dei miti generazionali”. Non a caso la sequenza iniziale con cui la Negroni fa aprire il film è questo tavolo zeppo di musicassette anni ’70-’80 dei Talking Heads e dei Clash, con a fianco una tradizionale macchina da scrivere dai tasti bianchi con l’inchiostro che va e che viene. (Davide Turrini, Il Fatto)

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