Per questo film, il regista Arthur Dong si è recato in diverse carceri negli Stati Uniti ed ha intervistato nelle loro celle sette assassini di uomini gay, chiedendo loro direttamente: “Perché lo hai fatto?”. L’idea di occuparsi di omofobia e di aggressioni anti-gay venne a Dong dalla lettura di un rapporto in cui si affermava che negli ultimi tre anni erano stati assassinati più di 200 gay negli Stati Uniti, tutti vittime di ‘crimini di odio’. Dong decise cosi di incontrare alcuni di questi assassini, per capire chi erano e farli conoscere al resto del mondo. Cosi scelse e contattò 25 assassini rinchiusi in carcere, sette dei quali accettarono di rispondere alle sue domande davanti ad una telecamera. Ognuno con la sua storia particolare: dal giovane che giustifica il suo omicidio con la necessità di proteggersi dalle avance sessuali della sua vittima, all’uomo gay religioso che si disprezza, alla vittima di abusi che teme di perdere la sua virilità, al sergente dell’esercito arrabbiato contro i gay. Non sorprendentemente nelle interviste emergono spesso riferimenti a dichiarazioni anti-gay fatte da leader religiosi e politici omofobi. Le testimonianze sono poi completate da atti dei processi, rapporti della polizia, immagini di repertorio, oltre a scene di manifestazioni e dichiarazioni anti-gay. Nel film Dong cita anche una sua personale esperienza negativa, avvenuta venti anni prima. Nel 1977, una sera molto tardi, mentre camminava verso casa con un amico, nei dintorni del quartiere di Castro, senza mostrare alcun segno esteriore di sessualità omosessuale, una macchina si fermò in mezzo alla strada, saltarono fuori quattro ragazzi, e urlando frasi omofobe cercarono di aggredirlo. Dong e l’amico allora bloccarono una automobile e si buttarono sul suo cofano; l’autista della macchina capì la situazione e li portò fuori di lì. Un paio di giorni dopo Dong lesse la notizia di un prete che era stato massacrato da una banda di ragazzi quella stessa notte e pensò “quelle sbarre di ferro erano forse per noi”. La prima domanda che si fece allora fu: “perché io?”, ma la vera domanda doveva essere: “perché queste cose accadono ? Che cosa motiva questo tipo di idee e di violenza ?”. Allora, nel 1977, le aggressioni omofobiche erano molto comuni, ma non se ne parlava; era il periodo in cui la cantante Anita Bryant conduceva con successo la sua battaglia contro i diritti dei gay. Da quel giorno Dong cominciò a fare le sue ricerche raccogliendo ritagli di giornale e altro materiale su questo argomento. Quando il film uscì qualcuno criticò il fatto di aver dato voce a degli assassini – Dong rispose dicendo ” La mia idea era che dobbiamo capire da loro se stiamo andando verso il superamento dei problemi che hanno causato tali crimini”, “Ho voluto dare a quei carcerati la possibilità di raccontare le loro storie, senza dare alcun giudizio su di loro – La mia intenzione non era quella di presentarli come dei demoni – volevo registrare le loro storie e metterle sullo schermo perché il pubblico potesse vederle e giudicare”. Per questo film Dong è stato premiato sia come regista che come produttore al Sundance Film Festival. (R.M.)
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