Piccola ma enorme sorpresa scoperta direttamente sullo schermo del Lido veneziano dove giustamente è stata premiata col Leone d’Oro. Con questo lavoro Del Toro raggiunge forse il vertice della sua carriera, sintesi perfetta e paradigma di tutto il suo fare cinema e della sua poetica d’autore. Un film che identifica l’autore nel segno di un cinema “diverso” e dall’estetica assolutamente queer nelle forme e nei contenuti. I suoi mostri non malvagi, i suoi eccessi visivi, le sue infinite citazione dai film di ogni tempo, i temi scomodi, il suo umorismo, la tavolozza assurda dei suoi colori… fanno indiscutibilmente parte integrale della cultura queer. Anche in questo caso, più di ogni volta in questo caso. A partire dal fatto che il narratore, anche se non è protagonista, è un umanissimo personaggio gay. Siamo nei primi anni anni ’60, nel momento di massima tensione della guerra fredda, quando in un laboratorio segreto degli USA viene portata in gran segreto una creatura anfibia catturata nelle foreste del Sud America (un dio della natura selvaggia dai poteri misteriosi) modellata sulle forme antiche del “Mostro della laguna nera”. Lì lavora una oscura donna delle pulizie, Eliza, dall’animo romantico ma totalmente priva di voce. Attorno a lei figure altrettanto sole e socialmente isolate per vari e differenti motivi. La compagna di lavoro Zelda è di pelle nera e subisce tutte le discriminazioni razziali in atto in quegli anni. Giles, l’anziano vicino di casa gay, cartellonista pubblicitario sente di vivere fuori tempo “troppo in ritardo o troppo in anticipo”, e si ingolla tonnellate di assurde torte solo per poter ammirare il bel commesso del negozio da cui finirà per venir scacciato (“… sa questo è un locale per famiglie!”). Nel laboratorio lavora sotto copertura un agente dello spionaggio russo che non può che vivere in gran segreto la propria situazione dalla doppia identità e dalla doppia cittadinanza. Tutti vivono con sofferenza la mancanza di una propria completezza, ma sarà proprio l’arrivo della creatura a cambiare e a dare un senso compiuto alle loro vite, a renderli parte di un gruppo e di una società potenzialmente rinnovata. Grazie all’amore che porta loro e all’amore (anche erotico con Eliza) che da loro riceve. Siamo – è ovvio – nel mondo della fiaba, una fiaba narrata in nero e in rosa, ma di questo tipo di favole il nostro tempo ha davvero bisogno. Del Toro si muove sopra e sotto la superficie, sulla crosta terrestre e insieme sotto il mare, raccontando il classico fantasy, ma andando dritto a trattare temi e problemi irrisolti del mondo contemporaneo. Vediamo la favola classica con la novità di una protagonista incredibilmente consapevole delle anomalie e delle solitudini umane, per prima la propria, che proprio nel momento in cui riesce a dare un’unione a queste solitudini potrà maturare la propria sessualità, da immatura e timida ad audace ed estrema. Perché della classica storia della Bella e la Bestia viene qui assunto come forza motrice proprio l’aspetto sessuale, ma senza mai dichiararlo in modo esplicito, anzi giocandoci a rimpiattino con molta ironia e sfrontatezza, in più coinvolgendo in questo gioco per primi gli spettatori. Del resto tutto il film si potrebbe considerare come un grande gioco cinematografico che mescola i generi e le sequenze degli schermi del passato con gli effetti tecnologici del cinema a venire. Solo il camp può dare un senso comune a Betty Grable e al 4K, al musical e al gotico 2.0. Gli interpreti? Tutti da ammirare e splendidi in una recitazione mix di ironia e serietà. L’attore che interpreta l’omosessuale Giles, Richard Jenkins, è candidato agli Oscar come miglior attore non protagonista. (Sandro Avanzo)
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Successione di stereotipi e cliché, trama banale e prevedibile, personaggi irrilevanti. Se sperate di guardare una buona rappresentazione LGBT+, cambiate film da vedere.
Deludente, non credo meritasse l’Oscar come miglior film e men che meno come miglior regia. La regia è inesistente in questo film e anche la trama mi sembra blanda. Zero effetti speciali, ma forse questo era voluto. La tematica gay è molto sullo sfondo, discreta: a non saperlo e a guardarlo distrattamente non ci si accorge nemmeno che Jenkins sia un personaggio gay. Direi: tanto rumore per nulla.