Senz’altro il film migliore di questo bravo regista gay filippino, che ha meritatamente vinto quasi tutti i premi principali al festival Cinemalaya del cinema indipendente: miglior film, fotografia, musica e fotografia. Il film ci racconta in modo toccante e convincente, cioè assolutamente realistico, momenti della vita quotidiana, intima e sociale di due uomini che si amano: quando sono soli oppure al lavoro o con la famiglia o con gli amici. Mentre i due amanti stanno partecipando ad un matrimonio (Kasal) etero, emergono problemi di coppia che ormai non possono più essere nascosti. Non si tratta più dei problemi di accettazione, ma sono ugualmente il prodotto di una sotterranea oppressione, che la tematica del matrimonio riporta in primo piano. La società, la cultura e la religione hanno seminato tanta gramigna antigay che è difficile eliminarla completamente, rispunta alla minima occasione. Ma lo scopo principale del film non sembra essere quello di reiterare le solite accuse di omofobia, sociale o interiore, che perseguitano gli omosessuali, bensì quello di farci comprendere come all’interno di una relazione d’amore gay, pur coi suoi tipici problemi, succeda in realtà quello che può accadere all’interno di qualsiasi coppia di persone che si amano. Per questo il film riesce a commuovere qualsiasi tipo di spettatore gay od etero. Cosa che non sempre avviene nel nostro cinema. Da notare come alcune significative scene siano riprese attraverso dei vetri (cosa che magari permette di evitare qualche censura), senza però lasciare freddo o estraneo lo spettatore: anche quando non sentiamo quello che si dicono i personaggi, siamo in grado di seguirli perfettamente. Grande merito di un’ottima regia. Un altro merito del film è quello di avvicinarsi alla linea del melodramma senza però mai superarla. Anche il finale amaro, ci lascia col fazzoletto sospeso, perché ci fa ugualmente vedere qualcosa di positivo.