Sesto lungometraggio del 27enne Xavier Dolan (il primo quando non aveva ancora 20 anni), tratto da un’opera teatrale autobiografica di Jean-Luc Lagarce (morto di Aids ad appena 28 anni, nel 1995), presentato in concorso a Cannes 2016, dove, come accade spesso ai suoi film, ha diviso critica (fischiato da alcuni alla proiezione stampa di Cannes) e pubblico, con i favorevoli che lo danno invece tra i papabili alla Palma d’Oro. Il film ha un sottofondo triste, sottolineato da ininterrotti e drammatici primi piani (fotografia e montaggio sono perfetti), giustificato da una storia di amore e morte, tutta in ambito famigliare, con parenti che sembrano azzannarsi e quasi insultarsi, mentre in realtà stanno dando sfogo al loro inconfessabile reciproco amore. E’ la storia di uno scrittore omosessuale che fa ritorno alla sua famiglia d’origine, dopo 12 anni di assenza, per annunciare la sua imminente morte per Aids. Impresa ardua perchè, vogliono farci capire gli autori, le persone di questa società contemporanea non hanno coltivato quella capacità di ascoltarsi o di rivelare con semplicità i loro veri sentimenti, perchè in fondo non credono più in se stessi, preferiscono dare un’altra e spesso falsa immagine di se stessi, supponendola più interessante. Il protagonista cerca inutilmente di trovare una strada per arrivare al cuore delle persone che ama, ma sono queste che non gli danno spazio, quasi non lo fanno nemmeno parlare, mettendo sempre se stessi in primo piano, sia come persone amorevoli (la madre), o arrabbiate (come la sorella minore che lo incolpa di averla abbandonata, interpretata da una sempre affascinante Léa Seydoux), o furiose (come il fratello maggiore Antoine, arrabbiato con se stesso perchè sente di non aver ancora realizzato nulla, interpretato da un iconico Vincent Cassel). Un drammatico affresco familiare che probabilmente non aggiunge molto a quanto già visto in altri film, ma che riesce a catturare la nostra attenzione e partecipazione dall’inizio alla fine, sia grazie ad un insieme di straordinari attori (che sono stati chiamati sul set quando Dolan aveva già organizzato e preparato tutto con controfigure, ma che ugualmente sono state lasciate libere di esprimersi come meglio credevano) sia grazie ad una perfetta messa in scena, giocata con luci ed inquadrature che ci raccontavano molto del non detto, con solo qualche caduta di stile in alcuni flashback.
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