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CRITICA:
“Non ho famiglia, non ho amici, tutti quanti mi odiano. Sono molto, molto triste. Per favore, aiutatemi!” dice il ventenne argentino Lucas alla webcam davanti a cui si masturba in diretta per raggranellare qualche soldo. Non è gay, ma quando è proprio alla disperazione tira avanti prostituendosi. Ora non ce la fa più e lancia un appello: “Mandami un biglietto aereo, io partirò e sarò tutto tuo”. La risposta arriva dal Belgio e lui si precipita. Le cose però non sono esattamente come se le aspettava: Henry non è un Principe Azzurro, è un eccentrico sessantenne a dir poco corpulento, appassionato di operette, titolare di una panetteria-pasticceria in un paesotto di provincia. E’ convinto di aver fatto un ottimo affare: al modico prezzo di un biglietto d’aereo avrà d’ora in poi a disposizione uno schiavo sessuale a casa e un apprendista in bottega.
Passato qualche giorno Lucas si rende conto di essere passato dal suo tugurio a Buenos Aires a una prigione senza sbarre a Hermalle-sous-Argenteau, e scappa. Ma dopo un paio di notti all’addiaccio nell’umido Belgio si arrende e torna casa con la coda fra le gambe. Al negozio lavora la trentenne commessa Audrey, vedova da poco e con un bambino di 5 anni; è affezionata ad Henry, di cui tollera con un sorriso le piccole manie. Inaspettatamente Lucas si innamora di lei. Henry lo tiene a stecchetto, per corteggiarla, comprarle dei regali e invitarla a cena, rubacchia dalla cassa e torna persino a prostituirsi. Henry è geloso ma deve arrendersi all’evidenza, soprattutto perché col tempo Lucas è diventato davvero un ottimo pasticcere e non può più farne a meno; arriva ad offrirgli un’assunzione con tutte le carte in regola. Quando la situazione sembra mettersi al meglio il passato sregolato di Lucas si mette di mezzo e la sua salute ha un crollo improvviso.
Il regista belga David Lambert, pur offrendo un film con scene molto esplicite, non vuole certo proporre un atto di denuncia sugli “uomini in vendita”, né parlare più di tanto di legami omo o eterosessuali. Ci racconta piuttosto la storia di tre solitudini: quella di Lucas, che dice “Non ho bisogno di sesso, voglio solo una casa”. Quella di Henry, che mente a se stesso pensando che, prima o poi, Lucas finirà per amarlo. E quella di Audrey, emotivamente paralizzata dopo la morte del marito. Il loro rapporto diventa una sorta di menage à trois, un triangolo disfunzionale che sembra l’unico modo per tenere in equilibrio passati così diversi e far evolvere positivamente le loro vite.
L’argentino Nahuel Pérez Biscayart (Lucas), il belga Jean-Michel Balthazar (Henry) e la canadese Monia Chokri (Audrey) offrono tutti interpretazioni di alto livello, supportati da una sceneggiatura, dello stesso Lambert, equilibrata e mai banale, che riesce con abilità ad alleggerire anche i momenti più crudi. La regia è un po’ televisiva, le riprese tutte in interni non hanno grandi sprazzi di fantasia. Ma la storia arriva al cuore e riesce a far riflettere con un sorriso su temi davvero impegnativi. (M.P., masedomani.COM)
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“Non ho amici e famiglia, mandatemi un biglietto e sarò lì”. Questo il messaggio che lancia Lucas dalla sua webcam all’inizio del film. Corpo smilzo e nervoso, viso emaciato, rasatura laterale e tatuaggi: il ragazzo argentino (un convincente Nahuel Perez Biscayart) si prostituisce per fare qualche soldo. Su Internet conosce Henry, che lo invita in Belgio. Lucas decide di partire e, arrivato in una piccola cittadina, i due iniziano a convivere e a lavorare fianco a fianco nella panetteria di Henry.
Di Lucas non sappiamo quasi nulla: la sua vita è tutta al presente, il suo passato una nuvola di fumo. Niente famiglia, niente genitori, attacchi d’ira improvvisi e musica forte nelle cuffie. L’argentina entra nel film solo attraverso qualche espressione pronunciata dal ragazzo in spagnolo, tra l’inglese parlato e il francese che sta iniziando a conoscere. Henry, grasso e bonaccione, condivide con Lucas un letto e dell’amore svogliato; sarà l”incontro con Audrey, commessa della panetteria, e suo figlio a cambiare il corso di queste esistenze.
Je suis à toi è un film asciutto, che cresce piano piano, in un intreccio di rapporti e relazioni inusuali eppure restituiti con estrema naturalezza: quella tra Henry e il ragazzo, un amore omosessuale che Lucas non desidera ma a cui si presta, abituato ad intendere la sessualità come un patto di denaro; il sentimento sincero che nasce altrettanto lentamente tra Lucas e Audrey, donna rimasta vedova, e si nutre di sguardi, gesti minimi e tempo; i momenti condivisi tra Lucas e il bimbo di Audrey, al lunapark o prima di addormentarsi.
Nel precedente Hors les murs (2012), Lambert affrontava con assoluta normalità il racconto di una storia d’amore omosessuale, attraverso un percorso di crescita e scoperta. Anche qui è l’amore a farla da padrone, senza vincoli ed etichette, rubato ed ottenuto, desiderato e conquistato. Nella solitudine di Lucas, un personaggio che matura lentamente, grazie ad Henry ed Audrey si aprono spiragli di serenità, che conferiscono al film una leggerezza inaspettata. Una camera mossa con sapienza ed un montaggio oculato rendono Je suis à toi un film a tratti crudo e disilluso ma estremamente vitale, che evita la lacrima facile e le conclusioni affrettate. (Caterina Sokota, cinefiliaritrovata.IT)
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«Soldi, soldi, soldi»: queste sono le primissime parole – tra l’altro ripetute – di Je suis à toi, opera seconda di David Lambert. All’inizio potrà sembrare una dichiarazione di intenti quasi banale nel momento in cui si intuirà la professione del protagonista, Lucas (una straordinaria interpretazione di Nahuel Pérez Biscayart), ma il modo di declinarlo del regista belga – qui in veste anche di sceneggiatore – non è affatto scontato. Dopo aver presentato la sua opera prima, Hors les murs, alla Settimana della Critica del 65esimo Festival del Cinema di Cannes, sceglie di parlare ancora di amore in questo secondo lungometraggio, dando vita a dinamiche che portano a scoprire la propria identità sessuale, l’altro e il vero amore, in un mix perfetto dei registri – dal drammatico all’humour, con sfumature di levità e commozione.
Lucas è un giovane escort argentino, lancia dei segnali di aiuto anche in queste autoriprese con cui si mette in vendita in rete per sopravvivere e a uno di questi risponderà Henry (Jean-Michel Balthazar). È così che si ritrova in Belgio, inizialmente viene ben accolto, ma non tutto è oro quello che luccica. Il messaggio che immediatamente Lambert lancia è quasi di denuncia sottile verso chi pensa che con il denaro si possa comprare l’amore che tanto si è idealizzato. Anche se ci si trova di fronte a un uomo che “sceglie” di vendersi, la conseguenza dell’innamoramento non è così inevitabile e, Lucas, ben esplica che per quanto si possa fingere e provare a forzarsi, i sentimenti vengono a galla.
Dal canto suo, l’uomo, che ha quasi un aspetto da gigante buono, ma nasconde delle ombre che emergono di pari passo con l’insicurezza, è titolare di una panetteria. Il ragazzo inizia a far l’apprendista lì, subendo anche gli orari massacranti e avance sul posto di lavoro, sa che in fondo il prezzo da pagare è quello – il suo corpo; non ha, però, messo in conto che il cuore può ribellarsi. Qui entra in gioco la commessa Audrey, a darle il volto è Monia Chokri, indimenticabile musa di Xavier Dolan ne Les amours imaginaires e in Laurence Anyways, in cui aveva già lasciato un segno indelebile anche per il suo saper essere comunicativa senza proferire parola.
Je suis à toi significa letteralmente “sono tutto tuo” ed effettivamente il titolo gioca con il lavoro che Lucas fa pur non essendo omosessuale e il percorso di amore che lui, ma anche tutti i protagonisti intraprendono (e con loro anche i “comprimari”), forse scoprendo finalmente cosa significhi essere, o meglio, donarsi all’altro. Così come Henry improvvisamente intona delle note, danzando con la farina, sembra quasi che, allo stesso modo, Lambert – in particolare nella direzione degli attori – voglia suonare ora una nota alta, ora quella bassa, provocando così una risata o un contraccolpo. A livello drammaturgico Je suis à toi è ben studiato e anche il gioco che si crea con la lingua ne è un esempio: Lucas, infatti, soprattutto all’inizio, parla e si esprime in inglese, Henry preferisce continuare ad usare il francese, a parte sforzarsi di trovare qualche parola comprensibile anche per il ragazzo, tanto più se vuole ottenere qualcosa da lui. Ma, sempre nell’ottica della cura, immaginiamo che sia stata una scelta ben ponderata la volontà di alludere al sesso orale o far vedere la masturbazione nel momento in cui si trattava di vendere il corpo; quando subentra, invece, l’amore – indipendentemente se sia tra due uomini o tra uomo e donna – tutto appare più puro, delicato, meno “vendibile”.
L’ultima pellicola di Lambert, presentato in concorso alla 29^ edizione del Festival Mix Milano, riesce a far provare uno spettro di sentimenti ed emozioni, dal senso di inadeguatezza all’umiliazione, dal coup de foudre alla paura di essere e rimanere da soli. Forse un po’ il finale lo spettatore se lo aspetta, ma, in fondo, glielo concediamo a fronte di un’opera ottimamente interpretata e ben realizzata. Voto: 7,5/10 (Maria Lucia Tangorra, cineclandestino.IT)
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Loneliness, desire, companionship, love in strange days and eternal relationship transactions, fermented in a “well done” effect by David Lambert of «Hors les Murs».
The film begins with a series of webcam shots by Lucas, a young man from Argentina, who sells sex online, exhibits himself, and tempts his clients to show their credit cards. One of them, Henry, a middle-aged, overweight baker from a small Belgian town, pays for his airfare and invites Lucas to go live with him, to share his bed, bakery and life.
As you might expect, the older man’s one-sided feelings of love – built on a handful of internet hook-ups – and the young man’s career prospects, in fact are far removed from what each had imagined, and without the security of a webcam and keyboard to hide behind, real life sets in and nothing appears to be ideal.
If the two men’s relationship seems problematic from the start, the fact that the young man – who declares he’s straight – seems more interested in Henry’s young employee, a young mother stuck in her own solitude, only serves to complicate matters. Furthermore, along the way the screenplay guides the heroes and plot into unnecessary developments to shed light on the personalities of the heroes.
This is perhaps the most interesting aspect of the film, the subtle way it manages to trace, not only the three characters entangled in this love triangle, but their internal solitude, which seems to be a building block of human nature, especially at a time when communication between people was never made easier.
Even though the film’s story seems to prepare you for a sad drama, it attempts to introduce elements of surrealist comedy, but these don’t always work in its favor, especially because they are based on the body features of the heroes (reminiscent of Laurel and Hardy) and the jokes are always played on the overweight character.
However, the three actors that hold the film’s main roles are excellent and on the whole the film manages to be calm and powerful in equal measure, both emotionally raw and awkwardly tender. ‘Je Suis a Toi’ is without a doubt a step forward for the Belgian director. In this film he finds an interesting tone and sincere way to look at his heroes and their circumstances, and a language of his own, which is akin to but not identical with new Belgian cinema’s realism. (Flix.gr)
Film intenso, emozionante, non scontato nello svolgimento, nel quale alla fine tutto si ricompone. Come in Hors les murs si centra l’attenzione sulla crescita emotiva e psicologica dei personaggi