Emiliano guarda la sua vita con gli occhi del regista, mischiando la realtà oggettiva con i processi della creazione artistica. La storia che filma si confonde con la sua vita quotidiana, con l’immediato, fino a quando il suo mondo finisce per restare intrappolato nella lente della macchina da presa. Confuso, sempre solo e di fronte ad uno schermo, ormai realtà trasfigurata ma, allo stesso tempo, misurabile, controllabile, maneggiabile, ascolta in ripetizione una canzone: una di quelle che ripeti come una preghiera e che ti obbliga a ricordare, a credere e a convincerti… Quarto lungometraggio di Julian Hernandez, uno dei più promettenti registi messicani e tra i principali autori del nuovo cinema queer, già vincitore di due Teddy Award, nel 2003 con ” Mil nubes de paz cercan el cielo, amor, jamás acabarás de ser amor” e nel 2009 con “Rabioso sol, rabioso cielo” (premiato anche al Togay). Creatore di una cinema che cura molto l’estetica e la composizione scenografica, viene da molti avvicinato a registi come Michelangelo Antonioni, Robert Bresson e Alain Resnais. In questo suo ultimo film, diversamente dai suoi precedenti lavori, hanno una piccola presenza anche le figure femminili, all’interno di un discorso complessivo sulla ricerca dell’amore. “In questo film” dice il regista “parlo di un uomo che ha diverse relazioni, e in ciascuna di esse, cerca di capire perchè le cose a volte funzionano e altre volte no. I miei personaggi cercano di conoscere prima di tutto se stessi, di sapere come e perchè possano riuscire ad avere relazioni affettive durevoli con gli altri esseri umani“.
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