Film presentato in concorso alla Berlinale 2019 ed accolto molto bene da pubblico e critica. Sembra che con questo film Ozon abbandoni una linea d’azione e interpretazione che nei suoi film precedenti faceva perno su momenti melodrammatici, esagerati, quasi operistici. Qui prende invece una strada più vicina alla realtà, quasi giornalistica, basata su una ricerca accurata dei fatti, molto documentata (vedi le tante mail che vengono lette). Alcuni critici hanno voluto accostarlo a “Spotlight”, come se fosse la risposta francese al premiato film americano. Ma qui i protagonisti non sono dei giornalisti, qui si vogliono evidenziare le conseguenze e le reazioni delle vittime agli abusi ecclesiastici, sia a livello personale, che famigliare che sociale, e sono proprio queste vittime che nel film prendono in mano la situazione. Il protagonista, che parte con Alexander (Melvil Poupaud), un ricco banchiere padre di famiglia ancora molto religioso, diventa poi l’impulsivo e ateo Francois (Denis Ménochet), deciso a vendicarsi e a rivolgere tutta la sua ira contro la Chiesa, e dopo l’intelligente ma instabile Emmanuel (Swann Arlaud), sicuro che tutta la sua vita sia stata traumatizzata da quegli episodi e ancora oggi non riesce a cennettersi emotivamente con le donne (vedi il rapporto con la sua partner). Come se stessimo seguendo una serie ad episodi ma senza per questo creare discontinuità o rotture nella coinvolgente trama, una sceneggiatura scritta dallo stesso Ozon. Abbiamo un momento quasi didattico quando Alexander spiega ad un prelato, che citava pedofilia ed omosessualità insieme, che i due termini non sono per niente equivalenti. La parte del cattivo è tutta del cardinale Philippe Barbarin (François Marthouret), arcivescovo di Lione, che appare come l’incarnazione dell’ipocrisia della Chiesa, tutto parole dolci e compassionaveli mentre nella pratica continua a coprire gli abusi sui bambini. Notevole in una scena (quando viene mostrata la foto di un ragazzo spaventato circondato dai nazisti nel ghetto di Varsavia) la connessione tra il silenzio su questi abusi e quello sugli ebrei che venivano mandato nei campi di concentramento. Forte anche l’ipocrisia che si nasconde dietro l’enfasi che la Chiesa vuole dare al dogma del perdono, inducendo i fedeli a perdonare e a trovare la pace interiore attraverso Dio (e non attraverso la giustizia umana).
Ozon cerca di rispondere a delle domande precise, domande umanitarie più che investigative. D’altronde lo stesso prelato incriminato nel 2016 (Bernard Preynat che si dice abbia violentato più di 70 bambini tra il 1986 e il 1991) non ha mai negato le sue colpe, dichiarandosi esso stesso vittima della sua tendenza pedofila. Come hanno reagito le vittime degli abusi nel corso degli anni a seguire? Come si sono comportate le loro famiglie, i loro genitori, che tipo di sostegno hanno cercato di dare loro? Naturalmente viene tirato in ballo anche il comportamento della Chiesa cattolica, che a parole ha sempre detto di comprendere le vittime ma in realtà, vuole dirci il film, si è sempre dimostrata esitante, come se preferisse dimenticare piuttosto che condannare. Ozon non ha nessuna pietà per questi atteggiamenti ambigui del clero, che mette alla berlina con una buona dose di ironia.
Ozon ha spiegato: “Ho realizzato un film di pubblica utilità, a causa dell’omertà presente in tutte le istituzioni e nei luoghi di potere, soprattutto nella Chiesa, ma anche nelle scuole, nei club dello sport o nelle famiglie, perchè anche queste sono un luogo di potere. Mi pongo da un punto di vista umano e non giudiziario, e ciò che voglio mostrare al di là degli atti criminali è anche la liberazione della parola e le ripercussioni di questa parola sull’ambiente”. La realizzazione del film, denuncia il produttore Eric Altmayer, ha trovato molte resistenze, che ne dimostrano la necessità. Ad esempio, Canal +, che ha contribuito al finanziamento di tutti i film di François Ozon, non ha voluto partecipare questa volta. Anche la città di Lione non ha partecipato a causa di molte resistenze, la Chiesa ha una grande influenza in questa città.
Anche le scene all’interno delle chiese hanno dovuto essere girate in Belgio e non a Lione.
Il film sembra voler anticipare quello che deciderà il processo ufficiale, contro Preynat e altri sei prelati, iniziato nella prima settimana di gennaio 2019 e che arriverà alla sentenza della Corte penale di Lione il 7 marzo 2019 e per questo, l’avvocato Frédéric Doyez, incaricato del caso, vorrebbe impedire l’uscita del film nelle sale francesi prevista per il 20 febbraio.
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