Il regista Guy Myhill ambienta la sua storia in una regione rurale dell’Inghilterra, nella contea di Cambridgeshire, fisicamente lontana poche centinaia di kilometri da Londra, ma distante anni luce dalla frenesia, dalla vivacità e dagli stimoli della capitale. In questa campagna la vita trascorre sempre uguale, fuori dal mondo e fuori dal tempo. Tutto resta immoto: di giorno si coltivano le zucche, la sera si va al pub a giocare a biliardo o talora a sfidarsi in saltuarie camminate sulle braci ardenti, nei dì di festa si fanno follie buttandosi in folli corse d’auto su circuiti improvvisati tra il fango. Immerso in questa amena realtà vive il sedicenne Goob, con il fratello maggiore e la madre, il padre non si sa che fine abbia fatto. La figura di maschio alfa-dominante è data dal compagno della donna, un agricoltore boss della zona, zotico e violento q.b. come si addice a un maschio degno di tal definizione (un Sean Harris tatuato e davvero sexy che offre allo sguardo di noi spettatori voyeurs la visione integrale dell interezza del suo corpo nudo tatuato, anche in questo caso solo il B-side, sob!). Con costui e con la sua arcaica concezione della vita si scontra quotidianamente il giovane Goob. E’ uno scontro su più fronti, gioventù contro maturità , possesso della terra contro lavoro a giornata, forza fisica contro fragilità , conflitti che si esplicano in una costante tensione di matrice sessuale per il predominio sulle donne di ogni età (la madre, la ragazza invaghita del giovanotto). Il tutto nel nome del machismo più bieco ( “qui sorgerà il viale della passera, perchè è questo che piace a noi, non è vero? “).
A turbare, anzi a inasprire la situazione, arriva a un certo punto un altro ragazzo, lavoratore a giornata. E’ l’unico elemento di alterità in quella realtà così immobile e immutabile. Arriva dall’esterno, è gay, ama ballare ( I Feel Love di Donna Summer), gli piace provocare vestendosi con vistosi abiti femminili color fucsia rubati tra il bucato steso ad asciugare. Una fascinazione sull’inesperto Goob e un forte legame con lui sono inevitabili come è inevitabile il conflitto col possidente violento, unico gallo padrone del pollaio. Proprio lo scontro tra quei due mondi e tra individui tanto distanti è il momento più forte e più riuscito del film…
Nello stile il film di Guy Myhill rimanda a tanto cinema britannico dell’ultimo decennio (ma anche a tanta fiction seriale tv che ci è arrivata da oltremanica), ma vi si riscontrano precisi riferimenti al modo di girare degli indipendenti americani del Sundance, per le atmosfere fredde, i colori ridotti al minimo in un uniformità di fondo sottolineata dall’ottima fotografia di Simon Tindall. Di certo personale è il modo di riprendere il corpo del 16enne Liam Walpole, quando lo spoglia ad ogni occasione da solo o in compagnia di altri attori a loro volta seminudi, sul bus dove fa casino con gli altri compagni, nei campi dove lavora, nel momento in cui si toglie la t-shirt per tamponare la lesione dell’amica ferita, o quando ne riprende in primissimo piano alcuni particolari anatomici (l’angolo dello zigomo sormontato dalle lunghe ciglia piuttosto che l’incavo tra la fine delle vertebre e il nascere del coccige). (Sandro Avanzo)
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