Varie
In Catania, San Berillo is the neighborhood of whores, where a handful of narrow run-down streets in the heart of the city that have been neglected for over fifty years are today disputed over by conflicting interests.
Franchina, Meri, Alessia, Marcella, Santo, Totino, and Wonder are transgenders that have prostituted themselves in San Berillo neighborhood for decades, but now they risk finding themselves without a roof under which to work and ending up under an overpass along the Catania-Gela highway, instead.
“Jesus died for somebody’s sins” tells, by way of candid conversation on those narrow streets, their daily and spiritual life in and out of the neighborhood. Theirs are universal stories, stories of individuals on the margins of society endowed with an irreverent and pure irony. Behind every laugh there is truth, a truth that urges its audience to reflect on reality. Without shame, the whores of San Berillo speak openly about their activities, seek rights for the profession they practice, and display the intimacy of their families and their solitude in front of the door waiting for clients. Dreams and fears, desolation and happiness, transgression and prayer, jealousy and compassion are some of the varied emotions contained in San Berillo that this documentary seeks to convey to its viewers.
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Franchina, Meri, Alessia, Marcella e le altre sono prostitute, prostituti e trans che si prostituiscono da decenni nel quartiere San Berillo di Catania, degradato e conteso da interessi economici. Quando immaginare un futuro diverso in società diviene un obbligo, le “Belle” di San Berillo si iscrivono a un corso per badanti.
Fin dall’incipit – un’inquadratura che fluttua quasi planando sui tetti catanesi – risulta chiaro come lo sguardo di Maria Arena sia refrattario all’ovvio e quindi come siano scongiurati i peggiori stereotipi nel viaggio che ci si appresta ad affrontare. Con un’attenzione sincera e una curiosità esente da voyeurismi, la macchina da presa si avvicina al privato delle “Belle” per scoprire cosa si nasconde dietro la maschera che sono solite indossare. Il loro passato, le ragioni della loro scelta di trasformazione, la loro dimensione umana e quella spirituale, di chi si sente figlio di Dio anche quando nessuno è disposto a considerarlo tale. Figure tragiche, nel senso più vicino a Euripide, o sorprendenti, come Franchina, che sfoggia una cultura non comune senza che questa risulti incompatibile con un modus vivendi apparentemente così distante.
Uno sguardo inconsueto e privo di retorica, che studia gli eccessi delle Belle senza traccia di compiacimento né di cinismo. Fino a trasformarsi in carezza, il cui affetto cresce man mano che emergono i dettagli, in un’operazione di maieutica che permette alle Belle di rivelare qualcosa di più sulla loro personalità. La regia si fa così strada, vicolo, porta accostata, intervenendo in maniera non invasiva sull’evolversi anche drastico (una delle Belle è costretta da uno sfratto a trasferirsi sulla tangenziale) della vicenda, mentre si rafforza il senso di comunità di chi sa di rappresentare, a modo suo, un quartiere e una storia. Un lavoro emblematico del percorso di crescita che sta attraversando il documentario italiano, sempre più consapevole della propria maturità e del proprio potenziale. (Mymovies.it)
Un film a metà strada da documentario e inchiesta, mi ha ricordato un po’ “La bocca del lupo” di Pietro Marcello. Forse un po’ monotono e ripetitivo. In alcuni casi ho fatto un po’ fatica a capire i dialoghi.