Four

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Four

Forse il più promettente debutto cinematografico dell’ultimo anno, questo film di Joshua Sanchez, regista gay dichiarato che in questa storia, ricavata da un dramma teatrale di Christopher Shinn, ha detto di avervi ritrovato parte della sua esperienza giovanile. Il film ci racconta le vicende che, nel breve periodo di una sola notte, quella del 4 luglio, festa dell’indipendenza USA, intercorrono tra quattro persone che si rendono conto di quanto sia difficile stabilire relazioni interpersonali oneste quando ognuno di loro è intrappolato nelle bugie che finora ha raccontato. La storia vuole essere uno specchio del modo di vivere della società contemporanea americana, tra solitudini vissute male, segreti che stupidamente ognuno pensa di poter custodire per tutta la vita, perduta autostima, rapporti interpersonali (e sessuali) vissuti con difficoltà, ecc. In una calda notte estiva, mentre tutti intorno sono presi dai festeggiamenti del 4 di luglio, June (Emory Cohen), un angosciato e nervoso adolescente bianco, fuggito dalla festa famigliare, attende d’incontrare segretamente, in un’area di parcheggio, un uomo che gli conferma l’appuntamente da una cabina telefonica. L’uomo, Joe (Wendell Pierce, fantastico protagonista di “The Wire”), un nero sulla quarantina, arriva e lo carica in macchina. Scopriamo che si sono conosciuti su internet dove si sono accordati per un incontro sessuale, che Joe è un uomo sposato con famiglia, gay velato e timoroso, mentre June è un ragazzo che sta scoprendo la propria omosessualità, dichiaratosi finora solo sul web. I due iniziano un dialogo dove appare chiara la delusione di ciascuno per la propria condizione, nonostante l’evidente reticenza, intrappolati in un gioco verbale che impedisce ad entrambi di manifestare chiaramente quello che veramente stanno cercando e vogliono. La relazione gay tra Joe e June viene raccontata in parallelo a quella etero tra Abigayle (Aja Naomi King), un’adolescente nera, che scopriremo essere la figlia di Joe, e Dexter (E.J. Bonilla), un ragazzo di razza mista suo compagno di scuola. Dexter, anche spacciatore di minimo livello, sta insistendo al telefono con Abigayle, perchè esca con lui per andare a vedere i fuochi artificiali, ma Abigayle deve restare in casa per accudire alla madre malata, in attesa che il padre, in viaggio di lavoro a Boston, ritorni o si faccia sentire. Il desiderio di vedere Dexter è troppo forte e Abigayle esce per incontrarlo. Mentre la notte avanza i nostri quattro personaggi sono impegnati in conversazioni e attività che forse potrebbero cambiarli per sempre oppure farli restare ancora impantanati nelle loro miserie e insoddisfazioni, cosa alla quale sono fin troppo abituati… Molte sono le riflessioni che il film ci sottopone, quelle tra le differenze razziali, soprattutto nella relazione tra Abigayle e Dexter, e quelle che da molto tempo coinvolgono la comunità gay, come la difficoltà a dichiararsi in famiglia o ad esempio il racconto che Joe fa mentre, nella stanza d’albergo, attende che June si faccia la doccia. Dice che quando era giovane, nei primi anni ’80, pensava che l’Aids fosse la cosa migliore che poteva capitare alla comunità gay: ” L’Aids ci ha resi più umani, ci ha fatto pensare a cosa può esserci dentro alle altre persone [non solo fuori]”. Dice con amarezza a June che un momento chiave nella vita di un giovane gay è il suo primo test dell’Aids, paragonabile al momento in cui un etero perde la propria verginità. Un film lontano da qualsiasi stile melodrammatico ma capace di farci entrare nei più profondi sentimenti dell’anima umana, nelle intricate sfide che ogni relazione comporta, mai così semplici o tranquille come vorrebbero sembrare. La ricerca dell’amore, le sorprese che ogni relazione ci riserva, il bisogno di affrancarsi dalle proprie paure (così bene esmplificate nel personaggio del giovane June) sono temi che il film ci presenta con grande passione, anche se, volutamente, non arriva a darci risposte univoche, lasciandoci alla fine un po da soli con le nostre riflessioni. Gli attori sono tutti bravi ma Wendell Pierce e Aja Naomi King sono strepitosi e rendeno impossibile staccare gli occhi dai loro volti ogni volta che appaiono. Tra i produttori esecutivi del film anche il regista Neil Labute. Il film ha vinto il premio del pubblico al Los Angeles Film Festival 2012.

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trailer: Four

https://youtube.com/watch?v=kW4AW36A1tA

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Dichiarazione del regista:

“I was influenced by the film ‘Faces’ by John Cassavetes and ‘Kids’ by Larry Clark, but also by the writing of John Cheever, the artist Darryl Ellis, whose work is featured in ‘FOUR’ and the music of Deerhunter.”

I spent most of the year leading up to making Four reading the fiction and journals of John Cheever. Most people probably think of Cheever as a drunken old-fashioned New Yorker short story writer who only wrote about marital infidelity on the 5:15 train to Westchester in 1955, but he was so much more than that. As a closeted gay man, he struggled with both his desire to be sexually liberated and his fear that he would lose everything in the process. He never fully negotiated this in his lifetime, but he left behind several masterpieces like The Swimmer and Falconer which explore his conflicted desire in such a profound and transcendent light. Cheever’s journals in particular were really important to me when thinking about how to present the character of Joe in Four. Both Cheever and Joe are caught between their families and their true self and are acting out accordingly. Both remind me of men I observed in my life growing up in the suburbs. Or men I could have become had I not left.

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CRITICA:

Spotlighting a quartet of furiously committed performances, and burnished by vivid, atmospheric lensing, Joshua Sanchez’s “Four” assembles a strikingly impressive facade, though its source material makes for an unstable foundation. Adapted from the play by Christopher Shinn, this intense yet low-key saga of two couples (one traditional, one illegal) occasionally gets tripped up by bursts of stagy dialogue and overly schematic structuring. Nonetheless, the talents both in front of and behind the camera are obvious, and fest play should help spread their names further.
Taking place entirely on one lonely suburban Independence Day evening, “Four” crisscrosses between scenes of two wildly different courtships — one between charmingly brash high-school athlete Dexter (E.J. Bonilla) and reticent brainy girl Abigayle (Aja Naomi King); the other between Abigayle’s professor father, Joe (Wendell Pierce), and June (Emory Cohen), a jittery teenage boy he seduced via the Internet. The latter is the film’s most pronounced relationship, and it is presented much less judgmentally than one might expect.
Which is not to say that the criminal nature of this pairing is whitewashed, exactly. From the start, when June escapes a family barbecue to meet Joe behind a department store, the essential Chris Hansen-ness of the scene is apparent, and discomfort is ratcheted up further by emphasizing the yawning disparity between June, with his waifish physique and quivering speech, and the bearish, bearded, baritone-voiced Joe.
Yet there’s more going on here than simple victimization: As the two drive around and talk, Joe begins to counsel the youngster about his reluctance to come out to his parents or to pursue relationships with his peers, and shares hard lessons from his own decades spent as a closeted gay man. Were it not for the non-explicit (yet appropriately skin-crawling) sex scene between the two, their relationship might almost seem an argument for old-school Athenian pederasty.
For this reason, it’s hard not to breathe a sigh of relief when the film’s focus switches over to Abigayle and Dexter. Believing her dad to be on a business trip in Boston, Abigayle is left to watch over her bedridden, mostly unseen mother (Yolonda Ross). Smooth-talking Dexter eventually badgers her into joining him for a drive, which, through constant pleading and cajoling, becomes an all-night date.
While all four leads are solid, and Pierce and Cohen get the film’s juiciest parts, King’s performance as Abigayle may just be the standout. Given less in terms of backstory than the other three, as well as dialogue that primarily consists of turning down and resisting her wannabe lothario, King nonetheless imbues her character with an essential, unwritten sweetness that helps bring a little light into the film.
Pierce (“The Wire”) shows his class as an actor in a difficult role, managing to convey Joe’s warm, big-brotherly qualities alongside his sexual menace. Yet he’s burdened with some overly grandiloquent lines that surely worked better onstage, most notably a soliloquy on AIDS having “made (gay men) human” that starts off intriguing and ends up confounding.
Though the film was made on a budget, its intuitive tech specs give it a potent aura of humid, midsummer ennui. Lenser Gregg Conde is alert to the many different degrees of shadow that play across the characters’ faces throughout, and Sanchez does well to frame their surroundings as a desolate, nearly uninhabited expanse, as indeed it must seem to them in their moments of crisis. (Andrew Barker, Variety)

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