Com’era dolce la vita nella Napoli nobilissima dei Borboni, che vergogna essersi arresi a quegli zotici scesi dal Piemonte ! Asseragliatasi in una sua vecchia casa di campagna (siamo nel 1889), la baronessa Clotilde non intende avere rapporti con i nuovi venuti. Trascorre il suo tempo a letto, servita da una cugina povera, Gesualda, che copre di insulti perchè non si esprime in napoletano come lei, ossequiata dal parroco del paese, don Catello, il quale coglie l’occasione delle visite alla baronessa per amoreggiare con Gesualda. A sconvolgere la vita delle donne e del prete arriva un bel giovane che dice di chiamarsi Ferdinando, come il defunto sovrano delle Due Sicilie, e di essere il nipote di donna Clotilde. Subito esplodono le gelosie, con Gesualda che scoprendo abbracciati zia e nipote minaccia di accoltellare la baronessa nel sonno e si abbandona a un amore furioso per Ferdinando; con Clotilde che fa testamento in favore del ragazzo diseredando la cugina; e infine con le due donne alleate contro il prete che si è lasciato sedurre a sua volta dal bellissimo corpo di Ferdinando (con il quale intrattiene degli equivoci incontri nella Sagrestia). Quando donna Clotilde minaccia di scrivere al Vescovo per fare scomunicare il parroco, e questi le promette che darà fuoco alla sua casa, entra in scena il veleno e Ferdinando (ma ora si scopre che il suo vero nome è Filiberto, venuto da famiglia di fede savoiarda) ottiene quanto voleva: i gioielli della baronessa, che esce scornata dall’avventura, ma a letto con il sedicente nipote, ha ritrovato il buonumore (come la sua cugina/serva Gesualda). L’unico vero perdente è don Catello che, messo con le spalle al muro (terminare i suoi giorni in santità o incorrere nella scomunica per atti di libido nei confronti di Gesualda e di Ferdinando/Filiberto) accetterà di morire per mano delle due perfide e vendicative donne con il veleno mescolato nel cordialino che era solito bere in casa della baronessa. (Giovanni Grazzini, L’Indipendente)
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