Il regista segue una famiglia dal suo interno nei giorni sucessivi alla morte della mamma. La vecchia casa dove hanno sempre vissuto è piena di gingilli, pesante, cupa, niente a che fare con l’idea felice che ne vanta, anche a proteggersi, l’anziano zio. Al contrario tra quelle mura ognuno vive per sé, il lutto come sempre accade invece di avvicinare li allontana radicalmente e per sempre. Lo zio sognatore innamorato della sorella non accetta il crollo e coltiva ostinato l’illusione di un futuro in armonia. La figlia (Luisa Pardo, presenza di una fisicità forte) ruvida, solitaria, fuma ero e crack con le lattine di coca, il fidanzato un po’ la vuole, un po’ come tutti i musicisti si fa sorprendere a letto con la groupie di turno. Il fratello è fanatico del calcio e gay, nel silenzio della sua stanza si tira una linea di mascara sugli occhi. Il padre gli dice: «tutto bene?» e senza aspettare risposta: «l’importante è che non sei omosessuale». Quest’ultimo da parte sua, il padre cioè, non si capisce se uomo d’affari o sindacalista beve, mente, immaginiamo l’inferno di frustrazione della moglie col viso triste da ragazza anni sessanta nella vecchia foto in bianco e nero… (Cristina Piccino – Il Manifesto)
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