Nel paesaggio rigoglioso della Provenza, un uomo si immerge in una conversazione telefonica senza fine, un monologo febbrile che sconfina in scenari diversi mentre l’unico elemento costante è il suono stesso della telefonata. «Si dice che la cultura è ciò che rimane quando si è dimenticato tutto e se oggi penso di aver trovato la mia via (o voce?) di cineasta, questi “esercizi d’ammirazione” mi obbligano a scavare più in profondità, a cercare i fantasmi che attanagliano le mie immagini, spesso a mia insaputa, e a trovare il modo per manifestare quest’ammirazione e farmene riappropriare e sublimarla gettandola in pasto al mondo. Ecco dunque Ea3. È un ricordo sfocato, quello di una donna che urla il suo amore e il suo dolore al telefono. Dovevo avere dodici anni, non di più… Credo si trattasse di Madeleine Robinson e del programma Au théâtre ce soir; ciò che è certo è che ascoltando a Nizza l’opera di Poulenc La voce umana, tratta dalla pièce di Cocteau, ho riconosciuto subito le parole e la violenza dell’emozione primitiva, quella dell’infanzia». (TFF)
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