Dior and I

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Dior and I

Un’altro interessante film sul mondo della moda, forse il più realistico di tutti, dello stesso regista di “Valentino: The Last Emperor”, Frédéric Tcheng, anche perchè concentrato sui due mesi di lavoro che servirono al belga Raf Simons, chiamato a sostituire John Galliano alla maison Dior (licenziato subito dopo che aveva pesantemente insultato gli ebrei), col compito di allestire una sfilata di moda per l’estate 2012 in soli due mesi, quando normalmente ne vengono impiegati cinque o sei. Con in più il fatto che Raf Simons non aveva mai disegnato e realizzato una sfilata di alta moda, nonostante fosse nel mondo della moda da molti anni. Il film ci presenta il lavoro di un grande stilista come fosse quello di un regista cinematografico, tutto teso a coordinare ed ottenere il meglio da un’ampia e variegata troup di collaboratori. Raf Simons non è gay dichiarato (ha avuto una lunga storia con Veronique Branquinho) anche se alcuni lo considerano bisessuale, ma nel film (tipico dell’ambiente moda) è contornato da assistenti gay (esilarante la storia di una sarta che s’innamora di un assistente gay di Raf). Il film, come abbiamo detto, è tutto concentrato sui due mesi di lavoro, dalla progettazione, alla realizzazione e all’esibizione della sfilata del 2012, che mostrano la grande abilità di Simons nel sapersi relazionare con lo staff cercando di ottenere il meglio da tutti. La regia è pulita e scorrevole, non si lascia distrarre troppo dalla bellezza dei vestiti (che comunque hanno il loro momento di gloria nel finale), concentrandosi invece sul lavoro comune che viene mostrato come una forma d’arte collaborativa (proprio come nel cinema). Film premiato dalle giurie del Seattle International Film Festival e dell’Outfest Los Angeles LGBT Film Festival, quest’ultimo con la seguente motivazione: “Un riconoscimento speciale per l’eccellenza nella realizzazione artistica che comprende un’ottima e magistrale direzione così come la fotografia, il montaggio e la musica, attraverso uno stile di cinema verità che coinvolge soggetti e personaggi”

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CRITICA:

Frédéric Tcheng’s documentary “Dior and I” juxtaposes the compressed first eight weeks of Belgian designer Raf Simons’s reign as incoming creative director at the fashion house of Dior — from the announcement of his appointment to the runway of his first haute couture collection — with founder Christian Dior’s preparation for his own 1947 “New Look” collection (as recounted in passages from his 1956 memoir, “Christian Dior and I”).
Although Mr. Simons is the obvious draw, the “I” in the film’s title could also refer to the many unsung heroines and heroes at the fashion house, especially the designers, tailors and dress makers working in the atelier that execute his vision.
The most interesting aspect here is Mr. Simons’s unconventional work method. Those who got their introduction to fashion design through “Project Runway” are probably in for a huge surprise: Trained as an industrial designer, he doesn’t even sketch. Instead, he finds inspiration through pictures, clippings and art. But a fraud he is most certainly not. He offers a succession of genius strokes from helping refine his team’s designs to lining the walls of his first runway venue with fresh flowers. Some of the exquisite materials and shapes he thinks up are literally breathtaking.
Mr. Simons dutifully studied the label’s archival sketches, fabric swatches and dresses, and even paid a visit to Dior’s childhood home. But Mr. Tcheng doesn’t quite establish a parallel between Dior the designer and Mr. Simons, even if the sitting creative director apparently experienced a little déjà vu himself as he read the Dior memoir. Dior sounds sensitive in his own words, while Mr. Simons seems scientific and at times aloof. It’s not until the day of the runway show that Mr. Simons shows signs of sensitivity: Perhaps the momentous occasion finally got to him. (M. Tsai, criticsnotebook.com)

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