“Non è un buon momento, all’inizio del decennio 1990, per Lee Israel, respingente, scorbutica autrice, [lesbica] che ama più i gatti che gli esseri umani e ha avuto un certo successo nel decennio precedente come scrittrice di biografie di personalità come Katharine Hepburn o Estée Lauder.
Per la prima volta seguì il consiglio della sua agente, esponendosi in prima persona, non nascondendosi più fra le pagine di altre biografie, ma sventolando il suo nome, oltre al suo talento di scrittrice. Perché questo nessuno glielo negava, anche se l’atto liberatorio arrivò solo dopo aver vissuto una vicenda criminale che è proprio al centro di questo film, insieme all’amicizia ad alto tasso alcolico e cinico con un affascinante pregiudicato gay che ‘si è fatto tutta Manhattan’, come vorrebbe inciso sulla pietra tombale. Splendida interpretazione per Richard E. Grant, così come, naturalmente, di Melissa McCarthy nei panni della Israel, al suo massimo in carriera in un ruolo molto diverso rispetto ai soliti comici, senza però cadere vittima del trasformismo posticcio da oscar, poggiandosi invece su un chiaro talento malinconico già visibile nascosto nelle sue precedenti fiammeggianti performance… Nel 1991 Lee Israel era ormai costretta a vivere con un lavoro mal pagato come correttrice di bozze, perso il quale, al solito per un bicchiere troppo pieno e una lingua troppo veloce, si inventa un modo criminale, ma geniale, di mettere a frutto la sua conoscenza lunga decenni dell’intimità di tante dive. Si mette a inventarsi, quando la macchina da scrivere non era ancora stata sostituita dal computer, delle lettere inedite da rivendere a librerie antiquarie interessate a oggetti da collezione. Questioni etiche, quindi, come non bastassero quelle su cosa sia vero e cosa falso, delineando il ritratto di una donna sicuramente respingente, ma che la regista Marielle Heller, con una sceneggiatura puntuale, divertente e toccante di Nicole Holofcener e Jeff Whitty, rendono con empatia, senza però smussarne gli angoli aguzzi con cui affrontava il mondo; era più forte di lei…” (Mauro Donzelli, Comingsoon.it)
“… Lee incontra due persone che hanno il potenziale per cambiare la sua vita, durante la sua sciarada. Uno è Jack Hock (Richard E. Grant), un altro scrittore gay che è stato masticato e sputato fuori dalla scena letteraria di New York. Dove Lee è maleducato, Jack è socievole. Ha bisogno del suo aiuto con i suoi crimini, ma in realtà è una scusa; quello di cui ha bisogno è di lui. L’altra è Anna (Dolly Wells), proprietaria di una libreria e una delle compratrici di Lee; formano un sussulto, la speranza di una relazione. C’è un vero affetto qui, tra Lee e le due nuove persone nella sua vita, ma lei spinge e tira e spinge e tira, la sua avversione di default verso il contatto umano aggravata dalle bugie che sta raccontando e dai segreti che sta nascondendo.
Ci sono alcune cose che fanno percepire la brillantezza reale che questo film avrebbe potuto essere. Il primo è la performance di McCarthy. Sarò scioccato se lei non è nominata per un Oscar (insieme a tutti gli altri che hanno lavorato a questo film). Da un lato, Lee Israel è un antieroe, sgarbato. McCarthy non lo evita. D’altra parte, McCarthy abita completamente la dolorosa, estenuante, festante solitudine della vita di Lee, e ci mostra una donna che è alla disperata ricerca di affetto. Anche McCarthy è divertente. Sto parlando di umorismo sottile e penetrante. Dolly Wells e Richard Grant interpretano Anna e Jack come personaggi disposti a dare a Lee ciò di cui ha disperatamente bisogno; personaggi che sentono il peggio del suo peggior comportamento, accettarlo e continuare ad estenderlo a lei. A volte sembra che ne abbiano bisogno tanto quanto lei.
Infine, c’è la direzione di Marielle Heller, che è coraggiosamente aperta e piena di cuore nella raffigurazione di tutti questi personaggi. C’è una scena tra Lee e Anna che non richiede assolutamente alcun tipo di parole ed è come se fosse una scena di incontri tra lesbiche come tante altre che abbiamo visto. Non dicono niente. Sai cosa sentono entrambe, senti ciò che provano entrambe.
È stato un anno di bandiere per le donne lesbiche e bisessuali nel cinema. Non solo il numero di film, ma anche la qualità dei film e il livello di talento che i film hanno attratto. In particolare, quasi tutti i film sulle donne queer quest’anno si sono conclusi con speranza, molti di loro addirittura felicemente. “Copia originale” si trova solo nell’essere, spesso, profondamente triste. Ma si distingue anche per il più ampio canone di film lesbici profondamente tristi (leggi: la maggior parte dei film lesbici). Non ci sono proiettili vaganti, nessun colpo di calore, nessun salto da alti edifici, nessun essere picchiato a morte. Nessuno paga per godersi un singolo momento di felicità queer con la loro vita letterale.
“Puoi mai perdonarmi?” È una frase tratta da una delle lettere contraffatte di Lee Israel. È una che ha realizzato per Dorthy Parker. Infatti, ne era così orgogliosa che si definiva “una Dorothy Parker migliore di Dorothy Parker” e usava persino la citazione per intitolare la sua autobiografia. Sorprendentemente, a Heller non sembra importare se il pubblico è disposto a perdonare Israel. Ha una domanda migliore, una che non chiediamo mai alle lesbiche in TV e al cinema: non riesci a vedere l’umanità di questa donna brillante e complicata che non si lascia mai amare?” (Heather Hogan, Autostraddle.com)
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