Varie
Napoli, fine anni ‘60. Il Salone Margherita, uno dei ritrovi notturni più affollati della città, dove si esibiscono attori comici, ballerine, spogliarelliste e contorsioniste, ospita sul suo palco un’artista di nome Tania. Ha appena diciannove anni, ma è già molto sicura di sé. Gennaro, un giovanissimo garzone che porta il caffè nei camerini, rimane incantato nel guardare i movimenti sensuali di Tania, che indossa un costume di veli e paillette; il bambino immagina se stesso così, su quel palcoscenico, davanti a un pubblico che lo acclama. Per Gennaro la scoperta della femminilità è accompagnata da una sensazionale rivelazione: Tania è solo un nome d’arte, fuori dalle scene è Tonino de Filippo. Scoprire che quella ballerina è un transessuale, per Gennaro è la liberatoria scoperta della propria sessualità. Tonino diventa negli anni la sua guida: il primo trucco, i primi vestiti attillati, le prime
scarpe con i tacchi. Tonino è un punto di riferimento non solo per Gennaro, ma per tutti i trans di Napoli, che ancora oggi la chiamano, affettuosamente e con riconoscenza, “la mamma dei trans”. Tonino è stato il primo “transessuale moderno” di Napoli, il primo cioè a voler superare la figura del tradizionale del “femminiello di quartiere” rivendicando dignità e diritti e finendo per questo in carcere più volte.
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IL FONDATORE – Il fondatore del gruppo è stato Antonio de Filippo, detto Coccinelle, figura storica dei transessuali della città, morto immaturamente di tumore nel 2006 e amico fraterno di Gennaro de Vito, che con la voce impastata di fumo racconta di Antonio e dei suoi esordi: «Mio padre lavorava come barista in Galleria, quando c’erano locali che adesso sono scomparsi: Il ‘‘Colosseo”, il ‘‘Santa Brigida”, il ‘‘Salone Margherita”. Aiutavo a papà e certe volte portavo il caffè sul palcoscenico del ‘‘Salone Margherita” quando facevano le prove. Potevo avere nove, dieci anni. Vedevo la ballerine coi vestiti luccicanti e le piume in testa e mi incantavo! Mi sono detto allora: ‘‘Voglio essere accussì!”». È tutta in salita la gioventù di Gennaro che sembra sbucare da un romanzo di Giuseppe Patroni Griffi. Lui si sentiva donna e amava truccarsi e infilarsi in abiti femminili rubati all’armadio della mamma.
«MALTRATTATO E INSULTATO» – Ogni tanto la polizia lo metteva dentro, lo insultavano: «Io scendevo a Toledo per andare a mare al Bagno Savoia e loro mi fermavano. Ma che facevo ‘e male?». In un rapporto di polizia è bollato con la dizione «pederasta». E poi in un’annotazione: «È conosciuta come Silvie Vartan ‘a corta». La compagnia di Gennaro è un cagnino. Gennaro ogni si volta e dice: «Vieni ‘a mammà!». Canta Clementina afferrando il microfono: «La nostra vita è un romanzo». Le canzoni, spesso dei recitativi, sono il piatto forte delle «Coccinelle». Quando viene intonata Femmene r’a notte si spegne anche il fracasso delle stoviglie e i camerieri restano coi vassoi in mano ad ascoltare. Il tema della prostituzione, con la vita randagia che ne consegue e le serate gelide davanti ai falò, entra di soppiatto fra i lustrini.
LA MESSA AI VERGINI – A Emanuela Pirelli le «Coccinelle» si confessano: «Ognuna di noi, per sopravvivere, si è prostituita. Nessuna lo ha fatto per sfizio, andare in strada a battere era l’unico modo per superare la vita. Ma quante offese, quanti sputi in faccia, quante umiliazioni, miezz’ ‘a via e in questura!». La Pirelli ha conosciuto Tonino de Filippo anni fa, pedinando le «Coccinelle» nelle loro migrazioni tra Napoli e dintorni in ristoranti «barocchi». Prima sono venuti una serie di magnifici scatti in bianco e nero, poi la voglia di costruire una storia per immagini in forma quasi di reperto antropologico, di appassionata certificazione di una prorompente realtà sommersa. Una delle sequenze più belle è quella del viaggio a San Giovanni Rotondo, in una mescolanza perfino spiritosa tra sacro e profano. E poi, nel finale, la messa per Tonino de Filippo ai Vergini (era nato a via dei Cristallini), con le «Coccinelle» che prendono la comunione prima di sciogliersi in lacrime. Ma qualcuna, i vaporosi capelli rossi, ha il tempo di strizzare l’occhio alla telecamera.
(Sergio Lambiase, Corriere del Mezzogiorno)
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