Presentata in anteprima alla Berlinale 2017 nella sezione Generation 14plus e vincitrice come miglior film canadese al TIFF (Toronto International Film Festival), un’ambiziosa opera dal carattere sperimentale che mescola musica (lunga apertura del film su schermo vuoto e interludio musicale nel mezzo), politica (tematiche sessantottine contro autorità e genitori borghesi), estetica (molta arte contemporanea), teatro (con citazioni che vanno da Socrate a Sartre attraverso Rosa Luxemburg, spesso recitate dai protagonisti completamente nudi), documentario (molti spezzoni di manifestazioni), e tempo (difficile a volte capire se siamo nel 2012 o nell’oggi), dalla considerevole lunghezza di tre ore, che richiede allo spettatore un particolare impegno, sicuramente ricompensato alla fine da uno spettacolo nel suo complesso stimolante ed affascinante. “Dopo dodici settimane di attacchi, assemblee, solidarietà, arresti, proteste, cosa abbiamo ottenuto? Niente.”, questo è quanto riconoscono i quattro protagonisti, membri attivi del movimento studentesco del Quebec che nel 2012 portò avanti una protesta, denominata “Maple Spring”, contro il neo-liberalismo imperante nella società canadese, definito conservatore e chiuso a qualsiasi cambiamento. I quattro protagonisti (che vediamo dormire nudi insieme, ma sono nudi per un terzo del film) formano un nuovo gruppo estremo. Si chiamano Giustizia (Charlotte Aubin) che ruba le armi di suo padre, Tumulto (Laurent Bélanger) che getta bombe molotov (al rallentatore) nella finestra di un ristorante, Ordine Nuovo (Emmanuelle Lussier-Martinez), la più radicale del gruppo, sotto processo perché ha acceso un fumogeno in metroplitana, e la trans Klas (Gabrielle Tremblay, attrice transgender anche nella vita reale), in lotta col padre, si prostituisce per finanziare il gruppo. Si accorgono che la protesta non è servita a nulla, ha lasciato solo un profondo senso di frustrazione e impotenza, un generale pessimismo. “Lo Stato riconosce solo il terrore”, la tentazione di usare la violenza ed il terrorismo sembra l’unico soluzione possibile dopo l’amara e infruttuosa esperienza di lotte. “Siamo in guerra” si dicono i quattro protagonisti per giustificare il sacrificio dell’individualità a favore della loro causa. Alla fine scopriranno che “Tutti i rivoluzionari sono ingenui, perché hanno fiducia nell’umanità”, e la loro rabbia si riverserà su loro stessi, forse disgustati, consapevoli ormai che le loro azioni hanno un costo che non possono essere pronti a pagare. Il loro odio è forse generato più dalla paura di crescere che da una distorta consapevolezza del reale. Un reale che è comunque pieno di ambiguità e privilegi ingiustificati. In anteprima italiana al 32 Lovers Film Festival di Torino.
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