La storia nasce da un articolo pubblicato su Vanity Fair in cui si parlava della banda Bling Ring, composta da ragazzine che si introducevano nelle ville delle star di Hollywood per sottrarre denaro e oggetti di valore, principalmente abbigliamento griffato. Tra le celebrità realmente colpite dalla banda c’erano Paris Hilton, Orlando Bloom e Rachel Bilson. Il bottino della banda arriva addirittura a rubare 3 milioni di euro in beni di lusso prima che uno di loro sia incastrato dalle telecamere di sorveglianza.
Dalle interviste ai protagonisti è nato l’articolo, e dall’articolo arriva il film, che si colloca decisamente al di sotto dello standard di Sofia Coppola. Il ritmo del film è dilatato e gli avvenimenti reiterati all’inverosimile, gli attori tuttavia sono bravi e il vero cuore della storia è manifestare, attraverso i gesti di questi adolescenti, quanto sia vanesio il mondo delle Hills californiane, totalmente definito da ciò che indossi e dal marchio che è impresso sulla tua borsa. Nicki, Sam, Mark, Chloe e Rebecca sono ragazzi che inseguono non il sogno di fama e grandezza, non il successo dato dalla recitazione o dalle luci della ribalta, ma semplicemente lo status, la possibilità di entrare nei locali giusti con le scarpe giuste, il “prestigio” di indossare un Gucci. Si tratta, in poche parole, dell’idolatria verso gli oggetti di lusso, verso il vacuo apparire per sentirsi parte di un mondo che le persone normali vedono solo in tv, una malattia quasi, che contagia, è un dato certo, anche la gioventù del nostro Paese. (Chiara Guida, Cinefilos.it)
Quasi protagonista principale è Israel Broussard, nel ruolo di Marc, un adolescente gay ancora velato in famiglia (lo vediamo nascondere scarpe ed indumenti femminili sotto il letto quando sta per arrivare la mamma) ma apertamente gay con le sue amiche, le uniche che sembrano avergli dato una qualche importanza, sicuramente perchè lo sentono molto simile a loro. Si scambiano bacetti, fanno gli stessi versetti, e soprattutto sembrano amare le stesse cose. In realtà Marc le segue perchè da loro riceve quell’attenzione che non riesce a trovare altrove. La sua omosessualità non è mai un problema per nessuna di loro (solo una volta lo sentiamo apostrofare dall’amica con ‘non fare il frocetto’) e la regia sembra sorvolare completamente su questo, tutta presa dall’urgenza di rappresentare una gioventù vacua e superficiale che ha come idoli non delle persone ma un paio di scarpe o un vestito (come spiega bene il titolo “la banda dei gingilli”)
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