Biutiful

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Biutiful

Uxbal, un uomo pieno di contraddizioni, coinvolto in affari poco leciti, che lo portano anche in contatto con i problemi delle comunità di immigrati cinesi ed africani, ma padre devoto che si dà da fare per occuparsi dei suoi figli, dei quali mantiene la custodia dopo la separazione dalla moglie Marambra, affetta da problemi di natura psicologica che ne minano la serenità, rendendo difficile la convivenza con lei. Di Uxbal conosciamo gli ultimi mesi di una vita complessa, portata prematuramente in dirittura finale da un cancro inoperabile; una vita in cui Uxbal non si tira indietro di fronte alle difficoltà, facendosi carico anche dei problemi di chi lo circonda, ultimi mesi in cui cerca di occuparsi della sicurezza futura dei suoi figli, ma anche far sì che loro, al contrario di quanto accaduto a lui nei confronti del padre, non lo dimentichino… Nel film un giovane gay cinese innamorato del suo datore di lavoro, che ricambia anche se è sposato con figli.

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CRITICA:

“…La prima grande emozione del festival arriva però da un cupo dramma in concorso, “Biutiful” di Alejandro González Iñarritu (miglior regia per “Babel”) su un malato di cancro alla prostata, Uxbal – un dolente Javier Bardem – che cerca di proteggere i due figlioletti dalle isterie della madre nevrastenica e cerca di aiutare alcuni diseredati nei bassifondi di una Barcellona che meno turistica non si può. Girato da Dio, vibrante e sconsolato (che gioiello di perfezione la scena dell’inseguimento della polizia per la strada stracolma di gente!), è un vero pugno nello stomaco che sa però anche arrivare al cuore dello spettatore. Tra i personaggi secondari c’è anche un cinese gay destinato a una fine tremenda, innamorato del proprio datore di lavoro che nasconde alcuni operai nell’interrato della sua fabbrica e parzialmente ricambia, nonostante abbia moglie e figli. “Biutiful” è dedicato al padre del regista scomparso recentemente…” (R. Schinardi, Gay.it)

“…In Biutiful di Alejandro Gonzáles Iñárritu c’è almeno la bella prova di Javier Bardem, convincente nel restituirci la complessa psicologia di Uxbal, un marginale che vive sul lavoro dei clandestini ma che si sente in colpa per le loro pietose condizioni di vita e che deve anche farsi carico dei due figli che la madre alcolizzata e instabile tende a dimenticare. Quello che non convince proprio è lo sguardo del regista, che descrivendo una Barcellona lontanissima dalle immagini turistiche finisce per restituire con un eccesso di piacere questo mondo di abiezione e sofferenza (Uxbal scopre ben presto di avere un tumore che gli lascia pochi mesi di vita), trasmettendo un senso di compiacimento molto lontano dallo sguardo amorale che forse inseguiva il regista.” (P. Mereghetti, Corsera)

“…Il messicano Inarritu, orfano dello sceneggiatore Guillermo Arriaga, emigra a Barcellona e confeziona un melodrammone cupo ed enfatico come una tela di Goya. Capitano tutte, al povero Javier Bardem: parla con i morti, ha una moglie bipolare e zoccola che lo tradisce col fratello, un cancro terminale alla prostata, gli affari vanno male – e si tratta di affarucci tosti, tipo la tratta di immigrati clandestini da Cina e Africa. Perché dovremmo appassionarci per 135 minuti alle sfighe di un delinquentello da tre soldi, è un mistero che Inarritu non svela. Forse, ripensando ad Amoresperros e a 21 grammi, quello bravo era Arriaga e Inarritu ha sbagliato mestiere.” (A. Crespi, L’Unità)

“…Guai ad azzardare con Alejandro Gonzáles Iñárritu, 47 anni, che il suo film in concorso, Biutiful è un po´ cupo: «Niente affatto, anzi è molto positivo, pieno di speranza». Certo dipende dai punti di vista: già da subito sappiamo che il protagonista Uxbal ha un cancro alla prostata con metastasi al fegato e alle ossa, e urina sangue, tra l´altro in un gabinetto sporchissimo. Ha la bella faccia ispida e mal lavata del brutto e bravo Javier Bardem che nella vita (forse da rasato e deodorato) ha conquistato l´amore di Penelope Cruz e che nel film sopporta con sguardi dolenti e gesti teneri una tal mole di disgrazie, da essersi già accaparrato, secondo qualche esperto, il premio al miglior attore. Riassumendo: Uxbal vive nella Barcellona (tutto il mondo è paese) sgretolata degli immigrati clandestini e dei miserabili, in un pertugio di casa con scarafaggi, assieme ai due amatissimi piccini: è separato dalla moglie, bruttina e amata, ma fragile, alcolista e promiscua («Io voglio esserti fedele, ma mi piace divertirmi»). È un sensitivo che riesce a mettersi in contatto coi morti e a farli parlare, il che gli frutta qualche soldo dai parenti disperati, il suo lavoro è mettere in contatto africani e cinesi con chi li sfrutterà col lavoro nero. «Non fidarti mai di chi ha fame» gli spiega il poliziotto corrotto, ma in fondo anche Uxbal campa su questi invisibili disperati, però con affetto: una carezza qua, una buona parola là, e almeno i soldi che prende servissero a nutrire i figli non solo di latte e biscotti.
Il padrone cinese è gay, il suo amante combina guai, si ritrovano i clandestini cinesi morti sulla spiaggia, i neri perseguitati dalla polizia fuggono in una scena spettacolare girata nel centro di Barcellona. Il fratello di Uxbal si fa la cognata, è proprietario di un locale dove le go-go dancers hanno le natiche truccate da seno con effetto strabiliante, insieme inùmano i resti del padre imbalsamato per venderne la preziosa tomba. Uxbal è ossessionato dalla paura di lasciare soli i suoi figli innocenti e teneri e s´ingegna per sistemarli prima di morire. Non sappiamo se ci riuscirà, tanto per non importunarci con un sia pur labile lieto fine. Spettatori divisi, chi opta per la Palma d´Oro che pare sempre più adatta alla tragedia che alla commedia, chi pensa che almeno un raggio di sole, a Barcellona, poteva capitare…” (N. Aspesi, La Repubblica)

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