In una notte del settembre 2002, tre skinheads vagabondano all’interno di un parco a Reims. Stanno cercando un arabo, ma quando incontrano un omosessuale, lo aggrdiscono ugualmente. Il ventinovenne Francois Chenu cerca di difendersi e chiama i suoi aggressori vigliacchi. Gravemente ferito annega in uno stagno vicino. I suoi assassini vengono presto presi. Il regista non ha voluto fare un documentario sull’omofobia, ma un film di interesse universale sulla tolleranza e l’intolleranza. Il risultato rimane impresso nella memoria. Le persone rappresentate nel film parlano con grande dignità: i genitori di Francois, suo fratello e sua sorella, l’avvocato della famiglia. Sembra che il regista entri dentro il cervello di queste persone. Mentre la madre lavora in cucina, gli spettatori sentono dirle che ha paura del processo, della vicinanza fisica con gli aggressori di suo figlio, che ha paura di perdere la sua rabbia e di trovarli “umani”. Il regista fa parlare tutti coloro che partecipano al processo. Nel corso del procedimento la famiglia cambia. Il dolore gradualmente si placa e lascia posto a un desiderio di comprendere gli assassini, che provengono da famiglie sottoproletarie e sono stati plasmati dalle idee di gruppi radicali di destra. Il film segue gli sforzi della famiglia nel volerli perdonare. Raramente abbiamo visto un film affronatre un tema così complesso: odiare e aver bisogno di giustizia e di perdonare. (Vincent Josse)
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