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CRITICA
“Com’è noto c’è un ‘altro’ Stephen King, un autore che corteggia più intimi orrori, quello dalle cui opere sono stati tratti film interessanti come ‘Stand By Me’ e ‘L’ultima eclissi’. Appartiene a questa categoria anche il racconto che sta all’origine di ‘L’allievo’. Niente mostri zannuti ma l’oscura fascinazione del male, qui incarnato nello spettro del nazismo. E alto è anche il progetto di Singer: rifiutare l’effetto a favore dell’ellissi, raffreddare racconto ed emozioni indicando che il male si nasconde nella banalità quotidiana. Peccato che, nonostante un grande Ian McKellen e un bravo Brad Renfro, il regista non riesca a trasmettere vera inquietudine, scivolando nell’ovvietà un po’ noiosa di un prodotto medio. Confermando il solito sospetto che sia abile col cinema-giocattolo, ma incapace di affrontare il mondo delle idee”. (Stefano Lusardi, ‘Ciak’, 1 dicembre 1998)
“Il film non ha pretese storiche, ma va più in là: come ‘Il servo’ di Losey, è una storia a doppia faccia sul rapporto padrone-servo, sulle dinamiche del controllo psicologico, tanto che lo straordinario Ian McKellen evidenzia compiaciuto come il vecchio riprenda gusto a travestirsi da SS e addirittura batte i tacchi, come neppure King, pur abituato agli orrori, aveva osato immaginare. A metà strada tra un giallo e il dramma sull’infanzia di un capo, per dirla con Sartre, ‘L’allievo’ è un ottimo modo per lanciare l’allarme su quel ventre che genera sempre mostri. Per di più il regista Singer se ne intende di Maligni e l’adolescente Renfro ha la giusta carica di ambiguità per risultare seducente, allievo d’una materia senza nome”. (Maurizio Porro, ‘Il Corriere della Sera’, 7 novembre 1998)
“Bryan Singer conferma quei sospetti che ‘I soliti sospetti’, un best-seller cinematografico salutato come un grande evento, aveva già, in parte, sollevato: il 32enne enfant prodige newyorkese non sempre è in grado di decodificare adeguatamente la complessa materia psicologica contenuta nel racconto di Stephen King da cui è tratto e spesso la sguarnisce di sostanza, le sottrae il patrimonio di disagio. ‘L’allievo’, tra horror e farsa, è un film che accumula su di sé un fitto concentrato di malessere mentale e un disagio tangibile ma, a tratti, troppo vincolato da una messa in scena statica e claustrofobica, addirittura sommario nello sfidare le estreme conseguenze di quell’incontro ravvicinato e concettuale con le vecchie e nuove forme del male. Lo stesso, bravissimo, lan McKellen nei panni del nazi di paglia è un personaggio un tantino sovraesposto in uno psicodramma nel quale la partita a due è giocata sul filo del rasoio dell’ambiguità e il gioco delle parti tra chi è marionetta e chi burattinaio si disputa nelle sfumature, nelle allusioni, nel rovesciamento sottile dei ruoli”. (Fabio Bo, ‘Il Messaggero’, 18 novembre 1998)
“Insieme alla scena dello straziante rigurgito di dolore di un ex deportato (impersonato dall’ottimo Michael Byrn) nel riconoscere il suo torturatore, l’interpretazione di McKellen è il vero motivo per cui il film di Singer vale la visita. Per il resto ‘L’allievo’, in un’alternanza di efficaci momenti di tensione e di soluzioni banali, è una riflessione sulla natura del male (c’è in tutti o bisogna essere predisposti?) che rimane troppo in superficie per risultare inquietante”. (Alessandra Levatesi, ‘La Stampa’, 7 novembre 1998)
Molto interessante e davvero particolare, ti fa vedere le cose davvero da un altro punto di vista. Un punto di vista spaventoso, terrificante, ma utile per capire gli orrori cui può giungere l’animo umano, con un nulla, deragliare per un soffio di vento, per un incontro sull’autobus, senza freni giù nel pozzo. Il più grande degli orrori della storia umana può essere affascinante? Evidentemente sì, per qualcuno sì, inutile nascondersi dietro un dito… del resto qualcuno l’ha fatte quelle cose e non erano alieni ma persone comuni.
Bel film, ben girato, ben recitato. Ma soprattutto grande storia.