Varie
Due ragazzi adolescenti a Parigi, Victor e Rainer, seguiti in una notte di confronti umani e sentimentali dal ritmo affascinante e decadente. In un club lungo la Senna, Victor prova ad avvicinare una ragazza, mentre l’androgino Rainer incontra un ragazzo. All’uscita, una rissa chiarisce due modi di intendere il mondo, e la notte prosegue chiarendo il rapporto affettivo tra i due. Tra brani di poesia recitati a memoria e silenzi che danno corpo a tensioni, un’indagine romantica e nera sul confine sottile tra amore e amicizia mentre si cammina insieme fino all’alba. Accompagnati dalla musica elettronica originale di Ulysse Klotz, i due ragazzi attraversano il loro personale “Fuori orario” come comete dell’esistenzialismo di oggi, con un fare d’altri tempi. Il primo film di Héléna Klotz, regista e redattrice dei Cahiers du cinéma online, stupisce per il ritmo drammatico, volutamente musicale, quasi fatto di motivi più che di percorsi classici. A tenere la struttura drammatica così inusuale di L’âge atomique, che potrebbe apparire incompiuta, ci sono il lavoro sulla fotografia e sul suono, usati con coscienza per creare rallentamenti narrativi alienanti che aprono il cuore dei due personaggi. Girato in digitale, il film è stato presentato all’ultima Berlinale. (Alessandro Beretta, MIFF)
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CRITICA:
I’ve just seen this film at BAFICI (14 edition) in Buenos Aires. And I actually enjoyed it. This is not a plot-based film. It’s an overview on how life looks like for two teenagers from Paris’ suburbs. Victor and Rainer go to a night club in Paris, maybe running away from their lives, but then they find out such escape is not enough. The film depicts very well how adolescence looks like in modern, big cities. Where children of middle or lower class parents roam around at night without too much to do. The film uses poetry as another mean for the characters to express themselves. The music plays a big role in creating the right atmosphere for the scenes. A film to see with the eyes wide open. (LeoDRK, Imdb)
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“…I due protagonisti (uno dei quali, Eliott Paquet, è l’esatto morphing fra Louis Garrel e Julian Casablancas) vivono una notte brava per una Parigi poeticamente minacciosa, ma assolutamente inoffensiva, fra discoteche, treni, anonimi marciapiedi ed un bosco (?!) nel cuore della città. Il film è strano, strampalato, spesso irritante e puerìle, davvero troppo francese, nel senso più deletèrio (e fastidioso) che il termine possa avere in ambito cinematografico. Però, c’è sempre un però diceva Arkadin/Welles, la sospensione onirica nella quale il film è immerso pongono ogni spigolo in una prospettiva piuttosto interessante, soprattutto grazie ad un suono ed una recitazione becketianamente stranianti, elementi in grado di porre l’intero film in una dimensione fluttuante, poeticamente stonata, distonica. Come a dire che i difetti del film sono i suoi stessi pregi….” (Alessio Galbiati, rapportoconfidenziale.org)
Warning: il commento contiene spoiler.
Il mediometraggio comincia come il solito pretenzioso, pseudo-intelletuale film da festival: lunghe inquadrature su volti vuoti, dialoghi che sembrano monologhi (non c’è un vero scambio d’idee), volume della musica ad andamento sinusoidale molto fastidioso. La qualità aumenta durante la lunga scena di “violenza” tra i giovani all’uscita della discoteca; quando si assiste ad uno stentato ed imbarazzante scambio di provocazioni che culmina in (finte) botte tra sbronzi. Interessante (perché realistico nella sua ridicolaggine) spaccato della gioventù annoiata di qualunque città del mondo. Ma ecco che la regista deve distunguersi per poeticità ed inserisce un fiabesco boschetto in cui i due protagonisti, isolati nella natura, riconfermano il loro forte legame. Una panchina della stazione non andava bene vero? Certamente no, questa è arte, non una commediola con la Roberts… Ed ecco la musica che si alza nuovamente mentre i ragazzi camminano nel chiarore del primo mattino.
Gli attori sono molto promettenti; per favore un regista meno intellettualoide si faccia avanti e li utilizzi meglio.