Il film è stato scelto per inaugurare la 16ma edizione del Florence Queer Festival dopo aver vinto come miglior film al Festival gay di Barcellona, premiato al Dallas International Film Festival, al L.A. Outfest e al Champs-Élysées Film Festival. Il film è girato su pellicola ed è in bianco e nero, cosa che gli dona un’atmosfera atemporale, come fosse senza tempo, sebbene già dal titolo comprendiamo che la vicenda narrata si svolge nel 1985, cioè nel pieno dell’epidemia Aids, quando era una sicura condanna a morte. Il regista gay Yen Tan (che abbiamo imparato ad amare dal film “Pit Stop”) ha detto per inciso che quegli anni, per come il Paese ha gestito l’epidemia Aids, “sono stati una questione molto in bianco e nero”. Nel film però non si pronunciano mai le parole Aids o gay od omosessuale, sebbene siano sottintese quasi in ogni scena, anche questa è stata una precisa scelta del regista perchè “in quegli anni nessuno le pronunciava mai”. Il regista conosce bene la storia che racconta perchè all’epoca aiutava i malati terminali a vendere le loro polizze di assicurazione. La storia raccontata dal film, sebbene possa sembrare ormai passata, contiene però molti riferimenti all’attualità, soprattutto a quella dell’America trumpiana (ma non solo), dove si torna a respirare un’aria oscurantista ed omofoba.
Adrian, interpretato da un eccezionale Cory Michael Smith (Gotham, Carol), è un giovane pubblicitario di successo che torna alla casa paterna dopo tre anni di assenza. L’occasione è la ricorrenza del Natale (lo vedremo consegnare a tutti dei significativi e imbarazzanti regali). Lo attendono un arcigno padre, un’amorevole madre e un arrabbiato fratello più giovane. Tutti sembrano avere dei conti in sospeso con Adrian, sembrerebbe una famiglia disfunzionale con problemi ovunque, molti dei quali generati da convinzioni religiose, ma scopriremo pian piano (grande pregio del film) che tutti hanno una grande sensibilità e forza interiore e saranno capaci di superare le più forti contraddizioni. Il ritorno a casa di Adrian vorrebbe essere un ultimo addio, una chiarificazione, una riconciliazione, vorrebbe poter dire “mamma, papà, sono gay e sto morendo”, ma nulla sembra più difficile e impossibile. Il fratello minore lo accusa di averlo abbandonato proprio quando aveva più bisogno di lui, il padre gli appare ancora come una minaccia, un ostacolo insuperabile, la madre sembra ignara di tutto (ma la scena finale dell’addio ci strapperà il cuore). Noi scopriremo come stanno le cose quando Adrian incontra Carly, una vecchia amica, che lo ascolta a cuore aperto… Il film è il ritratto di un uomo pieno d’amore, specchio di un’intera generazione, impegnato a scrivere le ultime pagine della sua vita. Non è però un film duro o difficile da guardare, i momenti tristi sono sempre bilanciati da altri più confortanti, il dramma familiare è presentato in modo sincero e commovente, il tutto meravigliosamente aiutato da una bellissima estetica (splendida fotografia di Hutch, anche co-sceneggiatore) ricca di particolari che ci aiutano a cogliere l’atmosfera. A nostro giudizio un piccolo capolavoro.
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