I commenti degli utenti

  1. Theo et Hugo dans le Même Bateau
    solokiefer

    La prima parte molto bella, con il primo quarto d’ora quasi porno, girato in un locale fatto per scopare (Impact di Parigi). Poi, il girovagare per Parigi ,da principio piacevole, lentamente scivola nella noia, troppi cliché per una notte sola. Il finale tanto felice quanto prevedibile.

  2. Those People
    solokiefer

    Una storia fuori dai coming out, dalle problematiche dell’essere gay, ma un omosessuale, come chiunque, ha problemi con l’amore, l’amicizia e le scelte. Charlie, aspirante pittore (bravo l’attore), è diviso tra un’amicizia adorante per Sebastian e il pianista Tim. Sebastian sembra uscito da un romanzo del primo Bret Easton Ellis, un autentico stronzo. Un rapporto incancrenito con gli anni e le vicissitudini passate insieme che non si capisce più se sia amicizia, amore o abitudine. Begli esterni, begli attori, ottima fotografia.

  3. Stuff
    solokiefer

    Praticamente un film Tv di Canale 5 del pomeriggio, di una banalità sconvolgente, dopo dieci minuti si è già svelato, non certo di meraviglia. Una coppia di donne con due figlie ha un periodo di crisi, una delle due incontra una mamma bona (molto bona davvero l’attrice) e nasce la solita storia di corteggiamenti e ripensamenti vecchia come il mondo.

  4. Fourth Man Out
    solokiefer

    Un gruppo di quattro poco più che ventenni (in realtà sembrano trentacinquenni) che condividono quasi tutto finché uno (il meccanico) di loro si palesa gay, e i tre amici invece di rifiutarlo come si faceva nei film degli anni ottanta, cercano di fargli vivere appieno la sua omosessualità, sciorinando una serie di luoghi comuni, che nemmeno a farci una lista sarei riuscito a tanto.
    Ad ogni momento pensavo sarebbe uscito Jack Black, ma non serviva, c’era già Ortu ad interpretare il personaggio sovrappeso che fa battute triviali.
    Il finale col barbecue tutti felici e contenti il 4 luglio, tra compagni di bevute goiosi, con l’orgoglio, l’aurea di tolleranza e la felicità di sentirsi americani ed indipendenti avrebbe imbarazzato anche Donald Trump.
    Ma la scena peggiore senza dubbio è quando sfuma un primo appuntamento perché al protagonista scappa una scoreggia.
    Gli sceneggiatori di questo film hanno un’idea piuttosto arcaica dei gay.

  5. Heartstone
    solokiefer

    Lentissimo nella prima parte (molto vicino alla noia), nella seconda vengono sviluppate tutte le vicende che portano ad un finale triste ma asciutto.
    Il sesso, sopratutto nelle piccole città, dove c’è poco da fare, viene praticato fin da giovanissimi, ancor prima che adolescenti, con una continua scoperta, che è anche il tema fondamentale del film: la scoperta del corpo come chiave per capirsi.
    Immagini meravigliose, ma del resto in Islanda è difficile non crearne.

  6. Le donne e il desiderio
    Ki

    Un film freddo e distaccato, quasi senza sentimento, in cui alcune scene scene (soprattutto alcune di nudo, silenziose) sanno essere forti. Le quattro donne protagoniste sono tutte sole e infelici, ma in un modo oscuro, solitario. Non so se sia un film misogino, probabilmente in parte sì. L’attrazione vagamente lesbica di Renata per Marzena è un po’ patetica, frutto dell’immaginazione quasi malata della donna matura. Commovente la scena del valzer tra le due nella scuola di ballo. Un finale netto come una porta sbattuta in faccia. Tanta tristezza per il destino di queste donne.

  7. Eastern Boys
    simo

    anche a me piacerebbe avere i sub. grazie

  8. Los héroes del mal
    solokiefer

    Il film, che inizia molto bene, perde di intensità proprio allo sfociare della violenza: non viene gestito in maniera omogenea. La regista comincia a condire tutto di sentimentalismo e psicologia spiccia per dare un carattere distinto ai tre personaggi, trasformandoli in archetipi dell’adolescente ribelle. Il film perde forza, arrivando ad un finale prevedibile e nemmeno troppo riuscito.
    Indovinata l’idea di usare la musica classica come colonna sonora: stride completamente con le immagini di vita suburbana e le trasforma quasi in coreografie. Gli attori sono bravi, anche se talvolta la recitazione appare enfatica (soprattutto di Artiz). Anche se presentato al Torino Gay and Lesbian Film Festival non mi pare per niente a tematica gay, è piuttosto un ritratto sulla confusione dei giovani, che chiedono solo un po’ di interesse e affetto, scambiandolo per amore.
    Un bel film che pecca di troppa ingenuità

  9. Henry Gamble's Birthday Party
    solokiefer

    Lentamente arrivano gli invitati, che diventano i protagonisti di questa festa allegra e amara.
    La caratteristica principale che emerge da questo gruppo di amici di età diverse è lo spiccato senso religioso: fanno tutti parte della stessa parrocchia e ogni azione è sottolineata da un ringraziamento a Dio e un calore esagerato tra loro.
    Quando il limite di moralità/comportamento è così alto è facile trovare trasgressori, e questo è forse il limite del film: trovare religiosi ferventi che si contraddicono è un po’ come sparare sulla Croce Rossa ed è solo il garbo del regista a riuscire a creare un equilibrio tra il fanatismo (rappresentato da una signora che non trova conveniente neppure fare il bagno) e l’allegra devozione dei più giovani, più aperti alla trasgressione.
    Henry, il protagonista della festa, è gay e desidera il suo migliore amico (indovinata la prima scena del film con la gara di “seghe” tra i due), ma fluttua con tranquillità tra le braccia di una ragazzina piuttosto fervente, fidanzata con un altro.
    Ci sono tutte le età e tutte le tipologie di persone, c’è anche un depresso che si sfigura il volto durante il party ma la figura più bella e complicata è quella della madre, una donna elegante, trafitta da un amore illecito che l’ha destabilizzata e resa precocemente consapevole.
    Il tutto funziona, forse succedono troppe cose per un solo party, ma l’opera non perde mai di ritmo ed è sempre credibile, cosa assai difficile per un film corale.
    Belle le luci e belli i protagonisti per una pellicola che, secondo me, può avere anche un successo commerciale.

  10. Kater
    solokiefer

    Presentato al Torino Gay and Lesbiam Film Festival 2016, è riuscito a dividere il pubblco, basti pensare che mentre applaudivo calorosamente a fine proiezione, da dietro volavano frasi tipo “una merda” e un amico – trovato dopo qualche minuto – me ne ha parlato come di “una noia mortale“. Non è un film facile e non è per tutti, ha quei tempi dilatati essenziali nell’economia della storia.
    La vita perfetta di Andrea e Stefan, fatta di musica condivisa, attenzioni per il loro gatto e un’intesa sessuale gioiosa (e mai sventolata come conturbante) viene sconvolta da un fatto grave.
    Il regista è bravissimo a documentare l’esasperazione di Andreas, la sua difficoltà a perdonare Stefan e contemporaneamente la caparbietà nello sforzo di far tornare le cose com’erano in precedenza. Quest’ansia è trasmessa interamente allo spettatore, Haendl riesce a generare un thriller delle emozioni: Stefan si ripeterà? Verrà perdonato?
    Molto bravi gli attori, che riescono – con un’interpretazione per niente sopra le righe – a dare vita ad un quotidiano prima sereno e poi via via sempre più cupo. Bellissimi gli interni e le immagini di Moses, il gatto della coppia che – come nel più classico degli stereotipi gay – viene trattato come un figlio.

  11. Wo willst du hin, Habibi?
    solokiefer

    Neanche male la prima parte, con uno sviluppo interessante dell’amicizia tra gay e etero, poi entra in scena la scoperta della famiglia turca di avere un figlio gay ed inizia una spirale di ovvietà, con tanto di happy ending patetico. Un film che comunque potrebbe girare nelle sale e avere successo di pubblico.

  12. Querelle De Brest
    solokiefer

    In una Brest completamente inventata – ricreata con teatro di posa – non esistono esterni, la città è un non luogo infernale, esibito tramite un’artificiosità esasperata e voluta. Querelle scende dalla nave alla ricerca del fratello, generando liti e scopate, emozioni e fraintendimenti, luci coloratissime e soffuse.
    L’ultimo film di Fassbinder è anche il suo inno finale alla solitudine (il regista è morto giovanissimo pochi mesi prima della fine del film, causa un cocktail di alcol e antidepressivi, voluto o meno non si sa).
    Ero un ragazzino quando uscì – censurato – al cinema. Rimasi turbato dal trailer che passava in televisione (che a pensarci ora era assai strano trasmettessero), ma non riuscii a vederlo in sala, dove passò come una meteora. Lo vedetti la prima volta (la prima volta di molte) anni dopo e restai incantato.
    L’atmosfera che pervade il film non ha mai riscontro con la realtà: sogno o incubo che sia, è sempre un mondo lontano da quello della vita di tutti i giorni, un angolo onirico.
    Il sesso è visto come punizione, redenzione, ma non ha mai un aspetto sentimentale, l’amore ha il suo punto più alto nel mancato atto sessuale. Il sesso nel cinema di Fassbinder non ha mai un aspetto ludico e gioioso, è sempre permeato da secondi fini, doppi giochi, supremazia.
    Jeanne Moreau interpreta l’unica donna presente nella storia: un personaggio femminile controverso, un po’ puttana e un poco amica, sorella e madre. Il suo cantare Each man kills the things he loves è uno dei punti più alti e noti dell’intera pellicola. Oltre a lei recitano attori del calibro di Brad Davis e Franco Nero che si prestano ad indossare maschere di personaggi traviati e perdenti.
    La solitudine resta il principale protagonista della storia: ogni azione violenta, erotica, delatoria è mossa dal totale isolamento di ciascuno dei protagonisti rispetto a chiunque altro e la coesistente fame di un po’ di compagnia. Il senso di disperazione assoluta è sempre presente, più forte dell’odio, dell’amore e della passione: ogni personaggio è in lotta contro la morte che si porta dentro.
    Querelle è un angelo che tutti vorremmo incontrare per liberarcene immediatamente dopo.

  13. A Girl at My Door
    Ki

    Un film lento, lungo e noioso, mal recitato. Forse “pedagogicamente” importante per la Corea e gli altri paesi asiatici? Si spera almeno questo.

  14. Eisenstein in Guanajuato
    solokiefer

    Per me, vedere un film di Greenaway è come andare a cena con un grande amore del passato: nonostante sia tutto finito, capisci perfettamente perchè te ne sia innamorato.
    Gli ultimi film, onestamente, mi erano piaciuti poco, troppo patinati, sempre più colti ma autoreferenziali.
    In Greenaway la tecnica non cede mai e anche in questo film la ricerca nelle immagini arriva ad un risultato sublime, anche quando rischia di appesantire o complicare la trama.
    A differenza del recente passato, questo è un film davvero divertente e – per certi aspetti – lontano dalle tematiche abituali del regista.
    E’ la storia dei dieci giorni passati da Eisenstein a Guanajuato, tappa finale del viaggio in Messico, servito per girare Que viva Mexico, film mai finito ed uscito postumo, anni dopo la morte del regista.
    In questo breve soggiorno conosce Palomino Canedo (molto sensuale ed intenso il personaggio creato da Luis Alberti che lo interpreta), colto abitante della città, che lo introduce al piacere del sesso, un mondo poco frequentato da Eisenstein in precedenza, sempre troppo preso da argomenti più inerenti l’anima. Decide così di donare la sua verginità al bel messicano, in una scena al contempo erotica e divertente.
    In questo percorso di ricerca sessuale dei due Greenaway ha l’apice carnale della sua opera: nonostante ci sia un’intesa emotiva, è la loro relazione sessuale su cui viene puntata la telecamera, mostrando l’evidente interesse del regista russo per i paceri della carne, fino a quel momento sconosciuti.
    Originale l’idea di prendere Eisesntein, regista attorno al quale negli anni si è creata un’aurea quasi sacra e farlo diventare un personaggio comico, con gag spassosissime (straordinario Elmer Block, l’attore protagonista). In tutto il film si respira insieme a lui l’aria di allegria e spensieratezza, che contrasta con gli inserti del vero girato da Eisenstein per Que viva Mexico.
    Nonostante l’abbondanza di tutto (ma con Peter Greenaway ci siamo abituati) il film ha una sua linea e la storia regge sempre. Parecchie le scene di nudo girate molto bene.

  15. Tangerine
    solokiefer

    Potentissimo film dal ritmo serrato ed incessante girato solo con un iPhone 5. Ambientato interamente il giorno della vigilia di Natale, è una storia quasi classica del melodramma e della commedia degli equivoci trasferita però nel mondo delle trans e dello spaccio di droga.
    Segue il girovagare di Alexandra e Sin-Dee, appena uscita di prigione (che di cognome fa Rella, meraviglia), due transgender in cerca di Chester, il fidanzato/protettore dell’ex galeotta, per chiarire il di lui tradimento, “con una donna vera“. E questo girare per tutta Los Angeles diventa il racconto vero di un mondo, il loro, completamente opposto a quello grigio comune (anche se ci sono parecchi punti di contatto, i clienti prima di tutto), un mondo dove però le dinamiche emotive che lo muovono sono le stesse: gelosia, amore, amicizie tradite, anche se condite da più cinismo e autoironia. Le transgender vengono raccontate per i loro sentimenti e le loro abitudini, non attraverso cliché visti spesso. Come faceva una volta Almodovar, i cui personaggi trash e irreali conservavano emozioni sincere e umanissime.
    Le immagini sono praticamente in presa diretta, ma anche se potrebbero sembrare al limite del documentaristico, tradiscono una maestria del regista e una consapevolezza del girare che non è certo improvvisata, primi piani esasperati, bellissime riprese di una Los Angeles per niente ovvia e vista poco al cinema.
    Nonostante una desolazione e un’amarezza sempre presente, sono mostrate anche gioia di vivere, spensieratezza e una carrellata di battute acide di cui la migliore e senz’altro quella nello scambio di opinioni tra Alexandra e Sin-Dee, quando una risponde all’altra: “Certo che è un mondo crudele, Dio mi ha messo un pene tra le gambe“.
    La parte finale in cui tutti si ritrovano nello squallido bar di ciambelle e in cui tutti gli equivoci vengono a galla è un capolavoro ed è sicuramente la migliore al pari del pompino del tassista ad Alexandra nell’autolavaggio.
    Colonna sonora strepitosa e uso della musica e del suono sapiente ed incisivo.

  16. Più buio di mezzanotte
    solokiefer

    Il provincialismo, una caratteristica che solitamente non sopporto del cinema italiano, è una delle cose più indovinate di questo film.
    Una Catania affascinante e misteriosa è il teatro del girovagare di Davide, giovanissimo ragazzino che, per sfuggire ad una famiglia che non vede di buon grado la sua omosessualità, decide di vivere per strada, insieme ad un gruppo di altri ragazzi. In realtà l’intera storia è ispirata alla vita di Fuxia, drag queen e attivista popolarissima nel mondo gay italiano, tra le fondatrici di Mucca Assassina.
    La storia non è molto nuova così, come è ovvio, il passo successivo è la prostituzione e l’ingresso nel mondo fatto di marchette, clienti, papponi, situazioni equivoche e pericolose (bellissimo piano sequenza della zona malfamata di Catania col protagonista che esplora il mondo fatato della notte). La famiglia ha carattere ambivalente, con una madre amorevole e un padre terrificante che lo costringe a punture di ormoni che rendano Davide più virile.
    La recitazione è pessima, rovina tutto. La già debole storia, di un personaggio così giovane che riesce a vivere fuori di casa (l’età non viene mai nominata, ma pare assai vicina ai 14 anni), viene del tutto annullata da attori che non sono mai credibili, sempre approssimativi, pressapochisti che non danno mai spessore ai proprio personaggi e li fanno pericolosamente assomigliare a delle macchiette (su tutti Pippo Delbono, davvero poco riuscito nel ruolo del protettore).
    Non mi è riuscito di capire il significato del titolo.

  17. Boulevard
    solokiefer

    Avevo letto critiche molto positive su questo film e, di Dito Montiel, mi era piaciuto molto Guida per riconoscere i propri santi. Quindi sono rimasto sorpreso nel trovarmi a vedere un film scontato di cui si intuisce lo svolgersi fin dalle prime immagini.
    Robin Williams, qui nella sua ultima interpretazione, è Nolan: sessantenne che conduce una vita grigia, che fa un lavoro in banca ordinario, di buone letture e con moglie colta. Insomma, un gay represso che troverà la sua voglia di vivere invaghendosi di una marchetta. Il tutto di un noioso e già visto da sperare che sia solo un trucco per poi dirigersi verso un finale originale. Che non arriva.
    Williams crea un personaggio dal profilo talmente basso da sfiorare la macchietta, vagamente meschino, impaurito da tutto. Montiel non si affida ad una sceneggiatura che racconti una storia, ma guida lo spettatore in numerosi cliché, già presenti in cinema e letteratura a profusione. L’effetto è di assistere ad un film già visto parecchie volte, dove un’interpretazione sopra (e sotto) le righe non salva nulla della storia.
    Banalissime le due figure di contorno: il migliore amico colto che si intrattiene con ragazze più giovani di lui, che ovviamente supporta anche la trasformazione della vita di Nolan come gay riconosciuto, e il padre malato terminale chiuso in un ricovero che non parla mai (la scena della confessione al padre incosciente della propria omosessualità da parte del protagonista del film è la peggiore in assoluto).
    La marchetta è senza spessore, e non credo fosse una scelta registica.
    Bello il personaggio della moglie, misurata e paziente, che si nutre di libri e sopportazioni.
    Come hanno già scritto qui nella Cricchetta®, una film con brutta sceneggiatura e buona regia è comunque un brutto film

  18. I Am Divine
    solokiefer

    I biopic stanno diventando un vero e proprio genere, vengono girati con maestria e ottime sceneggiature (solo ultimamente quelli su Amy Winehouse, Kurt Cobain, Janis Joplin, tutti molto belli), visti e apprezzati dal pubblico e presentati ai festival del cinema.
    Tra questi sicuramente c’è posto per questo documentario su Divine: performer, attore/attrice, cantante, artista d’avanguardia, interprete teatrale.
    Nel documentario stesso, alcuni dei testimoni ne parlano in “he“, altri in “she“. Considerato il fatto che Glen (nome all’anagrafe) desiderava anche parti maschili e che, Divine, era solo il suo personaggio, io mi riferirò con “lui“.
    Il film segue l’andamento cronologico della vita dell’artista, dalla fuga dalla provincia all’arrivo a San Francisco, che lo consacrerà: gli aneddoti spiritosi sono ben amalgamati con le informazioni artistiche, le immagini e i video sulla sua carriera. Tutto collegato dalle testimonianze delle persone che gli sono state vicine e, su tutte, la madre e John Waters.
    E’ bene evidenziare subito un fatto: Divine non è la travestita da TV o un drag queen baraccone per il grande pubblico. Divine è stata una star del mondo undergorund americano, che aveva un atteggiamento punk e innovatore, presenziando in film trasgressivi e indipendenti, bmovies con al centro incesti, violenze omicidi. E da qui è arrivato a partecipare a film di cassetta molto popolari (Hairspray) con la stessa naturalezza, senza perdere quel gusto per l’esagerato che lo ha sempre caratterizzato.
    L’incoronazione del personaggio Divine avviene con l’uscita di Pink Flamingo, nel quale c’è la celeberrima scena in cui mangia la merda di un cane (divertentissima nel documentario la ricostruzione da parte dei testimoni di come sia stato possibile girarla).
    Potrà risultare un cliché, ma è impressionante come l’aggressiva e alternativa Divine condivida il suo corpo con il timido e bontempone Glen: è incredibile come un simpatico signore sovrappeso riuscisse a diventare un’anima punk, trasgressiva non solo nei suoi look (strepitosi, tra l’altro) ma anche nelle scelte cinematografiche.
    Non certo come certi travestiti italiani (che da Divine hanno copiato il look senza pudore) che compaiono in salotti televisivi, sparando acidità e mezze oscenità, come se le drag queen potessero fare solo quello. Ecco Divine era qualcosa di completamente diverso.

  19. Ti guardo
    solokiefer

    Una grande regia per una storia che non mi ha convinto, e questo lo dico subito.
    Quello che per i moltissimi che lo hanno apprezzato è solo un errore veniale, per me è stato fondamentale: la storia ha troppe falle. Per me è impossibile che un etero, un pasoliniano ragazzo di strada che vive facendo a botte, rubando e picchiando, si possa invaghire nel giro di qualche settimana di un uomo sulla sessantina. Baciandolo pure con passione. E’ un innamoramento troppo repentino che incrina il valore di questo racconto basato su una sorta di redenzione del ragazzo.
    Armando, uomo maturo che vive a Caracas lavora in uno studio dove si costruiscono protesi dentali, conduce una vita piatta ed ha frequenti e fugaci incontri sessuali con ragazzini dai quali pretende solamente che si spoglino, si eccita guardandoli, niente effusioni e nessuno scambio di fluidi corporei. Ha un pessimo rapporto col padre – appena tornato in città – ma il motivo di questo odio non viene mai spiegato (dalle numerose foto della madre che ha in casa si può pensare che avesse con lei un rapporto speciale e che il padre l’abbia fatta soffrire, ma è solo un’intuizione).
    In uno dei suoi soliti adescamenti conosce Elder, giovane poco più che adolescente (bravo l’attore) che conduce una vita sgangherata, un personaggio tipico nel cinema, soprattutto gay, perchè tipico anche nella realtà delle strada e delle metropoli, soprattutto nel sud del mondo.
    Il loro rapporto lentamente si evolve grazie alla generosità di Armando che, dal pagare le prestazioni sessuali, passa ad occuparsi delle vita di Elder fino ad accudirlo e ospitarlo in casa dopo un pestaggio che lo aveva portato in fin di vita. Il finale è un’escalation di questo legame ed arriva ad un epilogo che, purtroppo, avevo immaginato già da metà film.
    La regia di Vigas è strepitosa, quadri con fotografia ottima, primi piani di volti disperati che sottolineano la narrazione del film (bravo tutto il cast) ma resto dell’idea che la storia non funzioni, di storie simili e ben più credibili ce ne sono a bizzeffe, la Virgen de lo sicarios, su tutte, presentato a Venezia una ventina d’anni fa e in cui il rapporto, anche se approfondito, restava sempre realisticamente mercificato.

  20. Land of Storms
    solokiefer

    Silenzi e corpi sono i protagonisti di questo bel film ungherese presentato a Berlino nel 2014. Sensuale e tragico.
    Un giovane calciatore, Szabo, lascia la sua squadra in Germania a causa di un litigio con un compagno (e del suo carattere pessimo) per tornare a vivere in Ungheria, in una casa ereditata, a coltivare il sogno di fare l’apicoltore.
    Conosce Aron mentre lavorano assieme per sistemare il tetto e tra i due scatta un’attrazione fisica che genera un rapporto complicatissimo. I bulli del paese non vedono di buon occhio la svolta gay di Aron ed iniziano la serie di violenze e soprusi tipica dei maschi dei piccoli villaggi: sentono l’omosessualità come una stortura del quieto vivere (o una minaccia alla loro virilità). L’omofobia ed il rifiuto di qualsiasi cosa sia diverso ha grande importanza in questa pellicola.
    Bernard, un compagno di squadra tedesco, raggiunge Szabo in Ungheria dichiarandosi innamorato di lui e imponendo una scelta che Szabo cerca di evitare, pur sapendo bene per chi optare.
    Un finale tragico chiude molto bene una storia fatta di silenzi tra i protagonisti, immagini bellissime di spazi malinconici e un senso del dramma che sembra non abbandonare mai il film. Una purezza della fotografia (usata magistralmente) in pieno contrasto con la fisicità dei ragazzi, alquanto mostrata anche se mai ostentata. Un erotismo onnipresente e una scoperta dei corpi (bellissimi tra l’altro) da parte sia dei protagonisti che dello spettatore. E’ in questo che sono bravissimi gli attori: con dolcezza e chimica sessuale lo comunicano perfettamente.
    Il finale, per quanto non desiderato e sorprendente, è quanto di più vicino ci sia alla realtà. Purtroppo.