I commenti degli utenti

  1. Boys
    Enzo

    Qualcuno sa dirmi dove posso trovarlo?

  2. La Terra di Dio
    Lucia

    Salve, può provare a cercarlo in inglese con i sottotitoli in italiano.

  3. La Terra di Dio
    L

    Qualcuno sa dove posso vedere il film in streaming perché non lo trovo da nessuna parte

  4. Sauvage
    sergio

    bello

  5. My Beautiful Laundrette - Lavanderia a gettone
    Daniela

    L’ho recensito. È lungo ma voglio condividerlo con voi.

    VIVERE È FATICA
    Retrospettiva su “My beautiful laundrette”

    Un pomeriggio del 1985, al cinema Eliseo di Milano. In cartellone un titolo bislacco, “My beautiful laundrette”, intraducibile in italiano se non a costo d’imbarazzanti associazioni: “La mia bella lavanderia”. La trama: l’anglo-pachistano Omar (Gordon Warnecke) è spinto dal padre, intellettuale socialista alcolizzato (Roshan Seth, il Nehru di “Gandhi”), a lavorare per qualche tempo presso lo zio Nasser (Saeed Jaffrey), ricco proprietario d’imprese lecite e illecite, con moglie trascurata e amante inglese (una scintillante Shirley Ann-Field). L’intraprendente giovanotto rileva una lavanderia dello zio e assume Johnny, un ex-amico d’infanzia, biondo, sfaccendato, punk, omosessuale e, in passato, fascista e razzista. Ne diviene l’amante e, assieme a lui, trasforma il negozio in locale di lusso. In mezzo, traffici di droga, scontri fra lavoratori e disoccupati, inglesi e immigrati, colori acidi e catapecchie rancide, luci al neon e valzer di Waldteufel, alcool a fiumi e odore d’appretto, rovistio di vesti dismesse, binari assordanti, vie di fuga e angoli in penombra. Locandina altrettanto indovinata: due ragazzi belli e strani, tra i più belli (e strani) mai visti, uno bianco e nordico, l’altro bruno e asiatico, che fissano l’obiettivo con timida strafottenza. Una coppia irregolare e interetnica nella Londra di Margaret Thatcher.
    Ma chi interpretava Johnny? Nientemeno che un tormentato, irresistibile Daniel Day-Lewis. E nessuno, fra gli sparuti spettatori dell’Eliseo nel 1985, sapeva di trovarsi di fronte alla riuscita performance del più grande attore degli ultimi decenni. Nell’asciutta possanza dei suoi 27 anni (ma ne dimostrava meno), il futuro sir DDL si muoveva con una spontaneità talmente viscerale da sconvolgere. Ma il co-protagonista Warnecke non era da meno e in una intervista rilasciata al “Guardian” nel 2015 ha ricordato con molta vivezza quel partner così intenso e impegnativo, ma anche lieve (“un vero gentleman”). Warnecke, tuttora in attività – la sua ultima prova verrà presentata anche a Milano, nel corso del Festival Mix, il 24 giugno – avrebbe meritato maggior fortuna artistica: nato a Londra da madre indoguyanese e padre tedesco (un Ayeye Brazov d’Oltremanica…), risulta credibile come pachistano e regge egregiamente il confronto con l’illustre collega. Forse quel suo personaggio, così trasgressivo e imprevisto, era troppo in anticipo sui tempi, anche per la disinvolta Europa. “My beautiful laundrette” era mercuriale e non concedeva nulla alla furbizia. Vi si trovava solo lo schietto, ribaldo sperimentalismo dei 16 mm. – venne concepito per la TV come un serial sulla falsariga de “Il Padrino” – e la pirotecnia di due artisti: Hanif Kureishi alla sceneggiatura, Stephen Frears alla regia.
    La pellicola è indubbiamente figlia del suo tempo, a tratti datata, anzi, situazionista; eppure non invecchia. MBL è uno di quei film che si conficca nel cuore e non ne esce più. Puoi dimenticarlo, poi un bel giorno, o più probabilmente un pomeriggio – un altro – lo ritrovi lì, intatto, a riprendere il filo del discorso. Come tutti i classici, piove dove capita, con la precarietà dell’esistenza, ma sempre autentico, graffiante.
    La Londra anni ’80 anticipava l’Italia del terzo millennio. Il suburbio rimane inchiodato a un’atemporalità senza scampo. Il resto è oggi: la politica truce e fosca, l’irresolutezza dei progressisti – il padre di Omar è forse il personaggio più patetico del film, con la sua cultura insipiente e la delusione poco comprensiva verso la “working class”; questione (anche) di linguaggio, lo tengano presente soprattutto gli insegnanti -, i nuovi “fascisti”, in realtà dei poveri sciagurati, il fallimento del melting pot e la globalizzazione che esclude i singoli privilegiando il branco (“Non tagliarti fuori dalla tua gente, perché nessun altro ti vuole davvero” è il monito doloroso rivolto a Johnny da uno dei suoi ex-compagni di scorribande). Poi la guerra, immancabile: con gli extracomunitari, presi all’ingrosso, ma pure all’interno delle stesse comunità, che di comune hanno solo i bisogni materiali, o esigenze, o delinquenza.
    Tornare alle origini, come vorrebbe il padre di Omar nell’estrema illusione, non si può, sono bruciate e… su quelle ceneri, s’è innestata la malapianta del fondamentalismo. “Il Pakistan di oggi è stato fagocitato dalla religione”, gli replica uno sconsolato Nasser. Nell’originale inglese, il verbo è ben altrimenti crudo: “sodomizzato”. E la questione si ripresenta, sempre uguale: quando le religioni, nate per liberare l’uomo, hanno finito per incatenarlo? Chi le ha sequestrate? L’istituzione? Il potere? I preti o gli imam o i rabbini, tutti rigorosamente maschi? La nostra stessa prepotenza? La paura, il denaro? Se pensiamo che il peccato di Sodoma è il rifiuto dell’altro, non si ricompatta tutto in un unico, terribile atto d’accusa? Del resto, il mondo di MBL è senza Dio, ma certamente non più libero: semmai liberista; un ammonticchiare disordinato di piccole soddisfazioni, un vivere alla giornata afferrando un tragico attimo, privo di gioia. “La società non esiste. Esistono gli individui e io voglio cambiare le loro anime” proclamava la Lady di Ferro, ma cambiare l’anima è impossibile senza mettere in cortocircuito la stessa umanità. La quale, priva di riferimenti sicuri, trova sfogo nella violenza, nelle velleità o nella mitizzazione d’un mondo manicheo, esaltato, simmetricamente diviso tra bene e male. Liberismo e fondamentalismi – politici, religiosi – sono frutti d’un unico ceppo.
    Questa filosofia, o meglio, idolatria del denaro – che mai come qui assume connotati drammatici, al contrario di quanto frainteso da malaccorti osservatori – viene esplicitata da Salim (Dennis Branche), l’ambiguo e brutale cugino di Omar e, fra tutti, il più apertamente “mafioso”, il quale riserva al ragazzo poche frasi taglienti: “Tuo padre era un intellettuale di spicco, in Pakistan. Tutti quei libri scritti e letti. I politici che andavano a cercarlo. Era intimo amico di Bhutto. Ma in Inghilterra senza soldi non siamo niente”.
    Però la vita è anche un eterno passeggiare; si può sorridere fra le macerie, e infischiarsene, perfino commuoversi. L’amoralità dei protagonisti – di Omar, soprattutto – è forse dettata da autodifesa. Egli incarna un coacervo d’irriverenti contraddizioni: non bianco ma in alto nella scala sociale, dolce e appassionato (nell’intimità l’iniziativa spetta sempre a Johnny e mai a lui: altro sovvertimento degli stereotipi, che assegnano il ruolo predominante al non-occidentale) ma pure arrampicatore, rancoroso e dispotico. Concreto fino al cinismo e al tempo stesso entusiasta e melanconico, scherzoso e irrisolto. Lo si perdona, Omar, perché non ha scelta. All’adultità è costretto benché, come osservato da un critico dell’epoca, Leonardo Autera, unisca “all’astuzia dell’arrivista le tensioni e i sogni di un poeta”. Ma nell’oclocrazia non c’è spazio per i poeti e al Nostro non resta che riversare tutta la poesia su Johnny. Segretamente, si capisce, in un alternarsi di sarcasmo e ipocrisia: mentre infatti la famiglia di Omar, chiamato amichevolmente (?) Omo, briga per combinargli un matrimonio con Tania (Rita Wolf), volitiva figlia di Nasser, lo zio, e perfino lo svaporato padre, nelle loro chiacchiere non mancano di additare lui e Johnny con un termine non esattamente corretto, “buggers” – equivalente al nostro “buggerare” -, assente nella più castigata versione italiana e che oggi farebbe gridare all’omofobia gli apologeti dell’equanimità a buon mercato. Ma MBL non è equo e, proprio perché così aderente alla realtà, rifugge i compromessi e gli accomodamenti della letteratura edificante, o letteratura “tout court”. Certo, i due rimangono uniti, magari sopportandosi, come sembra suggerire il finale, volutamente sottotono, che li ritrae sorridenti in un momento di lasciva banalità. Paiono già adulti, nel tratto se non nel fisico, due zitelloni gay che hanno imparato chissà come a barcamenarsi. D’altro lato questa intesa pare sempre sul crinale d’un burrone, per la crudeltà del mondo (non sono abbastanza cattivi), disagio esistenziale, finta virilità, mancanza di prospettiva, fragile dipendenza. Se non si teme di riconoscere, umilmente, i nostri abissi di finitudine, è facile identificarsi nei due amici, che nei non rari momenti di tensione sanno sempre sfoderare una risata sopra le righe. Non esistono, in MBL, personaggi del tutto buoni né completamente malvagi; ognuno ha le sue miserie e i suoi picchi di lirismo, pur nello squallore circostante. Ed è questo il fascino maggiore del film, lo stare al passo col disarmato fardello della vita.
    Tuttavia, nella loro solitudine totale, o totalizzante, le più arrischiate risultano le donne, o alcune di esse. In particolare Tania, sposa mancata di Omar, riuscito miscuglio fra tradizione decaduta e necessità d’emancipazione. Ama (o desidera) il giovane parente, ma vorrebbe anche, con la complicità di lui, liberarsi da una famiglia detestata, e subisce la violenza più cruda quando Johnny, per mandare all’aria il matrimonio – l’amico non pensa nemmeno un attimo a confessare la verità – la seduce, facendole così perdere la reputazione agli occhi dei suoi. Tania se ne va, naturalmente, sparendo sui binari della ferrovia, quegli stessi su cui si era gettata anni prima la madre di Omar, depressa per le vessazioni subite dal figlio da parte dei bianchi, il fallimento economico del marito e la propria emarginazione in quanto moglie d’un “paki”. Ma non vogliamo vederla come una sconfitta definitiva. Solo Tania può ripartire da se stessa azzerando un intero mondo, eterna apolide sempre di passaggio. È donna sotto qualsiasi latitudine, in tragitti mai concepiti per lei, e la fede, se arriva, è tutta da inventare. Nel manoscritto, Kureishi la ritrae seduta al finestrino con in mano un libro, l’unico che compaia in tutto il plot se si esclude la biblioteca del papà di Omar, segno d’erudizione vana. Può indurirsi per sempre, Tania. Oppure maturare, in quell’eremitaggio del cuore che, fra un treno e l’altro, gli anni ancora le concedono.

    © Daniela Tuscano ulisse-compagnidistrada.blogspot.com

  6. Tuo, Simon
    Ki

    Filmetto semplice, politicamente corretto, da Mulino Bianco insomma! Attori nella media e ambientazione banale.

  7. Un bacio
    Ki

    E’ arrivata la critica professionista! ahahahaha….ridicola….

  8. La Terra di Dio
    giuseppe s.

    Film intenso, duro, fisico, ma vero. Finalmente una storia umana, fuori dai soliti stereotipi gay, con un finale positivo, come avviene nella vita reale.

  9. Hawaii
    Leonardo

    Ho scoperto M. Berger per caso, da Plano B in poi ho “divorato” tutto quello che ha diretto fin’ora , il suo cinema di genere coglie l’essenza delle fragilità omosessuale detta e/o non detta , mai volgare e tantomeno ostentata da fumetto. Un titolo manca alla mia collezione tale “Mariposa” del 2015 presentato alla Berlinare di quell’anno..ahimè ho solo la versione originale non sottotitolata, qualcuno può aiutarmi? Buon lavoro a tutti.. cmq!!

  10. Chiamami col tuo nome
    morgan

    Non è perfetto… come non lo é in genere la vita stessa, ma riesca a trasmettere emozioni e sansazioni reali. È questo quello che conta.

  11. Chiamami col tuo nome
    morgan

    Beautiful! Thank you Luca..

  12. Chiamami col tuo nome
    Claudiom

    Meraviglioso. Un capolavoro!

  13. Quello che non so di lei
    Ki

    Grandissima delusione, innanzitutto a cominciare dalla presunta (e inesistente) tematica lesbica. La sigla LL è del tutto fuorviante così come la dicitura “sesso lesbico” nella scheda qui in alto. Non mi è piaciuta nemmeno la recitazione delle due attrici che sono risultate entrambe noiose e odiose. La trama ricorda troppo dichiaratamente “Misery non deve morire” e mi chiedo che necessità abbia avuto Polansky di riproporre un tema peraltro già sviluppato altrove declinato proprio al femminile. Non so se il romanzo invece abbia una qualche valenza ma a questo punto non so se lo leggerò. Grande delusione, non aspettatevi niente di che!

  14. Rush and Release
    giacomo

    Mi chiamo Giacomo

  15. Un bacio
    lisa

    non capisci un cazzo!!! film stupendo fa far vedere nelle scuole!!!

  16. Beach Rats
    Anakin92

    Film interessante, non la solita romance. Attore bellissimo, meravigliosamente diretto e mostrato dalla regista. Consigliato

  17. The Normal Heart
    terzopiano

    Brutto, noioso, lento, fasullo, attori sbagliati, fuori parte. E fuori tempo massimo. Rivedetevi piuttosto “Che mi dici di Willy?” anno 1989. Sono meglio gli attori etero che fanno i gay che i gay fighetti che fanno se stessi. Chissà perchè?

  18. La Terra di Dio
    terzopiano

    Bellissimo!

  19. Tuo, Simon
    terzopiano

    Molto carino, veramente consigliato!

  20. Chiamami col tuo nome
    ki

    Mi ha ricordato molto “Io ballo da sola” di Bertolucci, stessa intensa descrizione dell’estate, sembra quasi di sentirla sulla pelle. Bravissimo l’attore che interpreta Elio, capace di trasmettere emozioni anche con i silenzi e le smorfie del viso. Una bella storia d’amore, direi realistica, una storia universale in cui chiunque può immedesimarsi. Unica pecca il “discorsetto” didascalico e banale (sebbene in alcuni punti anche contorto) che il padre fa ad Elio a fine film; poteva essere limitato a una o due frasi al massimo.