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David, per fare contenta la madre, finge di andare a scuola ma in realtà, per aiutare il sostentamento della famiglia, ha trovato un lavoro presso una terme coreana. In questo luogo scopre un mondo sotterraneo di sesso gay, che inizialmente lo spaventa ma che nello stesso tempo lo eccita. Si troverà a dover esplorare la propria sessualità mentre vede sbriciolarsi la vita familiare, a dover conciliare i propri desideri con le proprie speranze, i suoi sogni e le aspettative dei genitori. Bravissimo l’attore Joe Seo nel ruolo di David e nel farci comprendere il dramma dell’intimo risveglio sessuale. Ottimo debutto del regista e sceneggiatore gay Andrew Ahn che, come il suo personaggio principale, si trova sull’orlo di qualcosa di grande e assai promettente.
Debutto nel lungometraggio del regista islandese Guðmundur Arnar Guðmundsson, già autore di moltissimi corti vincitori di oltre 50 premi internazionali, tra i quali anche lo speciale a Cannes 2013 per “Whale Valley”. Basato sull’esperienza personale del regista, anch’egli cresciuto in un villaggio, ci troviamo in un piccolo villaggio islandese di pescatori, dove gli adolescenti Thor (Baldur Einarsson) e Christian (Blær Hinriksson) sono grandi amici e vivono un’estate turbolenta: mentre il primo cerca di conquistare il cuore di Beth (Diljá Valsdóttir), la ragazza più bella del villaggio, l’altro scopre nuovi sentimenti per il suo amico, che non è ancora pronto a riconoscere. Quando l’estate finisce e l’aspra natura dell’Islanda riprende il sopravvento viene il tempo di lasciare il mondo dei giochi per affrontare la brutalità dell’età adulta. Film presentato in anteprima mondiale alla Mostra di Venezia 2016, in concorso nella sezione “Venice Days”, e vincitore del premio “Queer Lion”
Siamo nel 1971. Delphine, figlia di una famiglia contadini, ha sempre saputo di essere omosessuale, ed ha avuto qualche storia segreta. Adesso che il femminismo e la ‘rivoluzione’ avanzano, almeno a Parigi, decide di trasferirsi nella grande città, alla ricerca dell’indipendenza, sia famigliare che economica… La regista, qui al suo quarot film su tematiche LGBT (Les Amoureux ,1994; La Nouvelle Eve, 1999; e La Répétition, 2001), utilizza dialoghi edificanti con situazioni a volte picaresche (come la liberazione di un amico gay internato in un manicomio), per restituirci l’eccitazione di quegli anni. Nella seconda parte abbiamo il ritorno alla terra dove Delphine dovrà decidere tra una vita predestina o l’ignoto incarnato dalla sua passione d’amore. Partecipiamo alla sua sofferenza, che ricade pesantemente su Carole, e genera intense emozioni. Vincitore del Togay 2016, premiato a Locarno col Variety Piazza Grande Award.
Il regista dell’intrigante “Lo sconosciuto del lago”, che tanto scandalo aveva destato, sembra cambiare stile in questo originale lavoro, che utilizza salti temporali (e anche di tono), addentrandosi in una tragicommedia perversamente divertente e bizzarra. Il protagonista è Leo (Damien Bonnard), un regista-sceneggiatore alla ricerca d’ispirazione creativa che vaga con la sua Renault nella campagna francese. Tenta inizialmente di sedurre (e reclutare) Yoan, un giovane vagabondo che si sta prendendo cura dell’anziano amante Marcel (Christian Bouillette)… Splendidi panorami bucolici, con una specie di oasi in riva ad un fiume, e accurati esami corporali (molti genitali in primo piano, come presagisce il titolo), compresa una scena di parto estremamente reale, ci riempiono gli occhi tra una sorpresa e l’altra. Un’indagine, tra surrealismo e formalità, sulla condizione umana, al di là della normalità e delle aspettative più tradizionali. Il film era in concorso al Festival di Cannes 2016 (prima volta per Guiraudie) e nella sezione Festa Mobile al Torino Film Festival 2016. Ha vinto come miglior regia al Seville European Film Festival 2016.
Olivier Ducastel e Jacques Martineau sono due beniamini del pubblico gay che li ha già apprezzati per splendidi film come “Le avventure di Felix”, “Questa casa non è un albergo” e “L’arbre et la forêt”. Questa volta i due registi ci raccontano le vicende di una coppia gay, Théo e Hugo, che s’incontrano per la prima volta in un locale gay, dove fanno sesso hard senza protezioni, benchè uno dei due sia sieropositivo (sono i primi venti minuti bollenti del film). All’uscita dal locale i due restano insieme ed iniziano a girovagare nella Parigi notturna. Chiacchiera dopo chiacchiera i due giovani si accorgono che qualcosa d’importante ed inatteso li sta tenendo uniti. Per entrambi stiamo assistendo alla virulenza emotiva del primo amore. Inizia quindi per loro una nuova storia, ma emerge un grave problema che rischia di mandare tutto in frantumi… Film intrigante che affronta problemi ben conosciuti dal pubblico gay ma con originale vivacità e intensità, senza lesinare su scene decisamente hard.
Questo quinto film di João Pedro Rodrigues, regista omosessuale dichiarato che esordì col poetico “O Fantasma”, potrebbe sembrare un’opera complessa, stravagante, difficile, invece, grazie ad una mirabile composizione registica, risulta emozionante, rinfrescante, raffinata, e potremmo dire anche facile. Dovrebbe raccontarci, del tutto aggiornata e con riferimenti autobiografici (soprattutto omosessuali), la storia di San Antonio da Padova, un santo nato alla fine del 12mo secolo a Lisbona da una nobile famiglia. Dopo aver studiato teologia iniziò una serie di viaggi come monaco francescano tra Europa e Africa, terminando la sua vita a Padova, la città che ancora lo venera e dove vengono girate le ultime scene del film. Il San Antonio di Rodrigues è invece un ornitologo, Fernando (Paul Hamy), in viaggio da solo nel selvaggio nord-est del Portogallo, con la sua canoa, il binocolo e uno smart che usa per registrare le sue riflessioni… Il messaggio sublimale che il film ci manda è quello che per ritrovare se stessi bisogna prima perdersi. La sensualità molto queer che percorre tutto il film, è sicuramente voluta e ricercata come nella scena in cui vediamo la mano che penetra nella ferita, così spiegata dal regista: “ho voluto fare di questa allusione a San Tommaso che mette il dito nella piaga di Gesù, una scena molto erotica, come si trattasse di una penetrazione”. Vincitore come miglior regia al Festival di Locarno 2016
Una storia d’amore gay che nasce dall’incontro-scontro tra due culture differenti. Un film che si rivolge ad un ampio pubblico senza sacrificare l’autenticità della vicenda e dei personaggi raccontati. La storia è ambientata a New York, dove lavora il 29enne Ryan Fu (Jake Choi), un gay cino-americano che ha rifiutato le sue origini (si rifiuta anche di avere rapporti intimi con asiatici) e attraverso un duro lavoro è diventato un bravo stilista di una celebre marca di moda. Figlio di una povera famiglia d’immigrati a Chinatown, Ryan si è impegnato molto per apparire moderno e libero, distanziandosi dalla sua cultura d’origine. Un giorno il suo capo gli assegna il compito di preparare Ning (James Chen), un attore cinese in visita da Pechino, per le foto di un articolo su un’importante rivista… Anche se il tema del film è sicuramente molto frequentato, questo film s’impegna per essere originale, presentandoci i due protagonisti in modo accattivante, mettendo in primo piano le loro differenze, di cultura ed aspirazioni, ed il bisogno, comune ad entrambi, di trovare la strada giusta per la felicità. Credibile anche nel raccontarci ambienti e personaggi secondari (carinissimi i genitori di Ryan) in un affresco sociale veritiero e autentico, nonché molto attuale.
Vincitore del premio speciale della giuria e del premio del pubblico al Gramado Film Festival 2016 e programmato come evento centrale all’Outfest 2016, un film su una storia d’amore gay iniziata nell’infanzia ma repressa poi per molti anni. Un film sexy e sincero, diviso equamente tra il momento attuale ed i flashback dell’infanzia, basato sulla storia autobiografica del regista, qui al suo esordio nel lungometraggio (prima aveva girato un corto sulla stessa storia), forse un po’ prevedibile, ma comunque accattivante, anche per l’ottimo impegno dei protagonisti.
Ibrahim, un ragazzo marocchino di 14 anni, cammina solo e disorientato su una strada alla periferia di una grande città. Sapeva che fra due giorni sarebbe stato espulso dal Paese, così, zaino in spalla, si è dato alla fuga. È solo. Non ha nessun posto dove andare. Rafa, è un ragazzo spagnolo di 14 anni, che entra correndo nel bagno di una discoteca. Non resiste più. I nervi gli stanno giocando un brutto scherzo. All’esterno incontra Marta, una ragazza che si aspetta da lui quello che non può darle. Le vite di questi due ragazzi stanno per incrociarsi, e non sarà un incontro casuale. Uno influirà sull’altro e viceversa. La loro unione sarà così forte che porterà entrambi in una situazione impossibile da controllare. Interessante opera seconda del regista Mikel Rueda ( che ha impiegato sette anni per la sua realizzazione), che affronta le tematiche dell’immigrazione e della scoperta dell’amore omosessuale tra due adolescenti. Film presentato al Togay 2015.
Uno dei recenti film gay più reclamizzato dai media. Un film sulla violenza e sulle troppe morti che si susseguono nel mondo del porno gay. Un messaggio rivolto fondamentalmente alla comunità gay troppo spesso ossessionata dalla fisicità, dalla giovinezza e dalla perdita di entrambe.
Basato su un romanzo che racconta di una storia vera: l’assassinio di un produttore di film porno-gay avvenuto nel 2007. Lo sceneggiatore e regista Justin Kelly è qui alla sua seconda regia dopo l’ottimo “I Am Michael”, film sulla riconversione gay che aveva sempre come interprete il nostro James Franco (altro titolo che aspettiamo di vedere). Il titolo “King Cobra” si riferisce all’etichetta di pornografia gay “Cobra Video” fondata dal maturo e solitario Bryan Kocis (nel film è Stephen, interpretato da Christian Slater, apprezzatissimo attore appena visto nei due vol. di “Nymphomaniac” e nella serie “Mr. Robot”), un imprenditore che nel 2002 è stato ritenuto colpevole di abusi sessuali verso un quindicenne… Anteprima al Tribeca Film Festival 2016.
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