BIOGRAFIA |
Laureato all’Accademia Cinese di Scienze Sociali ha poi conseguito un master in letteratura e ora è professore associato all’Istituto di Ricerche Cinematografiche dell’Accademia Cinema di Pechino.
Regista, sceneggiatore, romanziere e attivista queer di origine cinese, ha pubblicato nove romanzi di successo ed è riconosciuto come figura di spicco della cultura underground asiatica per il suo impegno a favore dei diritti delle comunità gay e per le sue opere, in particolare pellicole digitali a basso costo, esempi di un cinema d’avanguardia apprezzati internazionalmente per lo stile unico e l’originalità, come dimostrato ai festival attenti che gli hanno dato spazio tra cui Berlino, Rotterdam, Locarno, Londra e Pusan. Tra le sue opere ricordiamo “Fu Ge” (Refrain), film girato nel 2005, che narra la storia di due fratelli che intersecano i propri drammatici destini in un vortice di intimità e passione e “Shaonian hua cao huang” (Withered in a Blooming Season), del 2006, che racconta del rapporto tra un fratello e una sorella che da sempre vivono in simbiosi, frequentando e condividendo luoghi ed emozioni, finchè la sorella non lascia trapelare il desiderio amoroso per un coetaneo, destando l’implacabile gelosia possessiva del fratello. (Togay 2007)
Cui Zi’en: portabandiera dell’immagine libera
di Elena Pollacchi
Al momento attuale, nell’atmosfera di libertà propria del digitale, persiste una polarità di concezioni e pratiche contrapposte. L’originalità di un’ispirazione popolare e personale si accosta alla venerazione e all’emulazione del cinema su pellicola; l’eccellenza della qualità alla libertà disadorna e cruda. C’è chi è attratto dalle lusinghe della vittoria alle competizioni, dagli onori e dalla gloria del “passare alla storia” e chi, invece, rifiuta il giudizio e non si cura affatto della Storia” (Cui Zi’en, Il cinema digitale: le prime immagini libere” in Ombre Elettriche, Electa 2005)
L’immagine digitale concepita come immagine libera per eccellenza è senza dubbio la concezione cardine che sottende tutta l’opera di Cui Zi’en, autore di una ventina di lungometraggi, oltre che saggista e critico cinernatografico, docente, scrittore e promotore di iniziative culturali a sostegno del cinema digitale, indipendente e del cinema a tematica omosessuale.
Girare in video, a costi bassissirni e con il piacere di mettersi dietro l’obiettivo senza la necessità di investire tempo ed energia alla ricerca di fondi o sostegni produttivi, conferma ad ogni nuovo lavoro di Cuizi (come lo chiamano gli amici sparsi in tutto il mondo) che davvero si può fare cinema “senza mezzi”, laddove i mezzi si traducono in ostacoli da superare, in autorizzazioni impossibili da ottenere e nell’inevitabile scontro con un sistema di censura – sia esso politico o del mercato – che accetta solo un’immagine classificabile entro generi e canoni estetici prestabiliti.
Refrain e Withered in a Blooming Season sono tra gli esempi più recenti di una vera e propria “rivoluzione attraverso il digitale” che Cuizi – insieme ad altri giovani autori come Zhou Hongxiang, Gao Xiac’er e Andrew Cheng – cercano di portare avanti sin dalla fine degli anni Novanta, quando le video camere sono diventate strumenti di ripresa largamente accessibili e hanno permesso a molti di uscire in strada, di riprendere la vita quotidiana, di ignorare i rigidi vincoli imposti dai regolamenti per le riprese cinematografiche. In forme diverse. ciascuno di questi registi sta conducendo una vera e propria battaglia contro l’intero “sistema cinema un sistema vincolato alle leggi del mercato globale prima ancora che alle leggi di censura cinesi.
Cuizi individua nella ripresa digitale la cifra di un realismo autentico, in cui la messa in scena svanisce e il campo è lasciato a totale disposizione dei personaggi, ragazzi e ragazze ripresi nel privato, nei dialoghi della vita di tutti i giorni, giovani che non di rado interpretano se stessi. L’immagine è cruda e non persegue inutili estetismi, eppure – anche nella sua immediata carnalità – non risulta mai gratuita o invadente ed anzi, è funzionale a stabilire con il soggetto filmato un alto grado di prossimità alla ricerca di un’empatia tra la realtà e l’immagine che non ha niente a che vedere con l’ossessione al “reality che pervade gran parte dell’Occidente. Ad ogni nuovo film di Cuizi, siamo posti di fronte alla consapevolezza e alla scelta coraggiosa di chi sta fiduciosamente percorrendo una strada impervia che tuttavia ha già portato a riconoscimenti importanti, senza aver dato priorità al successo.
I temi difficili – e lontanissimi dal discorso ufficiale – affrontati nelle opere di Cuizi (l’AIDS, l’omosessualità, la religione cristiana) non puntano alla provocazione o all’effetto-shock, ma trovano nell’immagine priva di ornamenti una misura che è diventata già punto di riferimento per molti giovani cineasti. Il cinema di Cuizi è vincente, forse proprio perché sa illuminare momenti di verità in cui è possibile riconoscersi; perché nei lunghissimi piani sequenza lascia scorrere il tempo del cinema a vantaggio del tempo della comunicazione tra le persone.
In Fuhe due ragazzi vivono un universo personale che pare escludere il mondo circostante, in una Cina che non si vede mai, assente dalle inquadrature strette e dai primissimi piani di gesti semplici che avvolgono la relazione tra i due protagonisti. In quadri che si susseguono uno dopo l’altro enfatizzando la dimensione della coppia, la morte risuona come il ritornello del titolo (fuhe) senza per questo assumere i toni tragici di una separazione definitiva. I rituali della tradizione cristiana sono mimati nei gesti di un’ultima cena che celebra la fine del rapporto come il passaggio ad un’altra dimensione. Senza lasciare spazio al pessimismo, la morte conduce ad una simbiosi tra la dimensione umana e l’universo circostante.
In Withered in a Blooming season (Shaonian huacao huang) la struttura narrativa è più definita, necessaria al racconto di strutture familiari che si sgretolano di fronte all’avidità, alla ricerca del piacere di una madre-manager che ignora le problematiche dei figli. Mentre la donna mantiene un giovane amante, i figli vivono un rapporto al limite dell’incesto e cercano di stabilire altre relazioni al di fuori della famiglia, vivendo la crisi tipica dell’adolescenza. Ancora una volta, nonostante la difficoltà nel mantenere vive le identità e i ruoli tradizionali, l’opera di Cuizi non concede niente al dramma e, nello sguardo tutto incentrato sui giovani, mostra un’energia e una vitalità che possono trovare spiegazione solo nella realtà complessa, cangiante e contraddittoria della Cina odierna. (Togay 2007))
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